Deroga sugli stipendi dei manager Palazzo Chigi: non riguarda i ministri

Previste dalla manovra “eccezioni motivate” al tetto di 310 mila euro per i dirigenti pubblici

Marcello Serra 16 Dicembre 2011
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I manager della Pubblica amministrazione potranno sforare il tetto previsto nella manovra economica e avere uno stipendio superiore a quello del primo presidente della Corte di Cassazione (pari a circa 310 mila euro).
Lo prevede un codicillo inserito nel testo finale del decreto legge “Salva Italia” che scatta tre mesi dopo l’approvazione finale e che prevede per gli stipendi nella Pubblica amministrazione «deroghe motivate per le posizioni apicali delle rispettive amministrazioni».
La novità fa insorgere Italia dei Valorie la Lega.
«In questo testo già invotabile, il governo ha infilato anche una norma ad personam», accusa Antonio Borghesi.
«Un comma ad personam, per l’esattezza, rivolto a chi, anche ministri di questo esecutivo, siede su poltrone di vertice all’interno della Pubblica amministrazione ed evidentemente non ha gradito la norma che prevede la riduzione degli stipendi», dice il vicepresidente dei deputati dell’Idv.
E il leghista Maurizio Fugatti, contrario alla novità, racconta come un emendamento teso a cancellare la deroga al tetto per i manager pubblici sia stato respinto grazie al voto congiunto di Pd e Pdl.
Il ministero per la Pubblica amministrazione però respinge le accuse.
«L’emendamento, peraltro d’iniziativa parlamentare, relativo alle deroghe al tetto delle retribuzioni dei dipendenti pubblici non riguarda in alcun modo le autorità politiche.
Ministri e sottosegretari, pertanto, non potranno usufruire di alcuna deroga», spiega il ministro Filippo Patroni Griffi.
La risposta del ministro però non convince Borghesi: «Non dubitiamo della buona fede del ministro circa il fatto che il governo non intende concedere alcuna deroga al tetto delle retribuzioni a ministri e sottosegretari», dice il deputato dell’Idv.
Che però replica: «Resta il fatto che la norma c’è e che, tra l’altro, riguarda la marea di incarichi presso ministeri o enti di nomina governativa o politica che permetterebbe ad alti funzionari pubblici superpagati di ricevere non uno, ma due lauti stipendi.
Uno dei quali senza svolgere il lavoro».

Silvio Buzzanca

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