Ogni occasione per apprezzare quanto sia giusta e chiara la nostra Costituzione e adeguate molte norme che la attuano è benvenuta.
È così anche per il pur non gradevole invito al chiarimento dell’anonimo Montesquieu su Europa di oggi. Sono in ballo due principi costituzionali che è possibile, che è doveroso, conciliare: l’imparzialità del dipendente pubblico (quale io sono) e la tutela dei diritti politici del cittadino (quale pure io sono).
In merito all’imparzialità, la Costituzione stabilisce che «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore» (art. 54) e che deve essere garantita l’«imparzialità dell’Amministrazione» (art. 97). Tali disposizioni sono attuate dal Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (approvato nel marzo 2013 proprio dal Governo di cui ho fatto parte), secondo cui «il dipendente… agisce in posizione di indipendenza e imparzialità, astenendosi in caso di conflitto di interessi» (art. 1, comma 2), laddove tale «conflitto può riguardare [anche] interessi… derivanti da pressioni politiche» (art. 7, comma 2). Pertanto «il dipendente non usa a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio, evita situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica amministrazione» (art.1, comma 3).
Quanto alla tutela dei diritti politici, la Costituzione prevede che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» (art. 49) e circoscrive chiaramente le categorie dei dipendenti pubblici – «i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero» – per le quali «possono» essere previste con legge «limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici» (art. 98).
Il già citato Codice di comportamento dà attuazione a questa particolare tutela del diritto dei pubblici dipendenti di professare opinioni politiche e di svolgere la relativa attività, escludendo i partiti politici dalle associazioni per le quali è previsto che l’adesione debba essere comunicata dal dipendente al «responsabile dell’ufficio di appartenenza».
Conosco bene entrambi questi principi anche da prima del 1998, quando ho iniziato il lavoro nella pubblica amministrazione, poiché rappresentavano il punto di riferimento di noi giovani entrati in Banca d’Italia, con forti opinioni politiche e una gran voglia di servire il pubblico interesse in modo imparziale. E ne ho fatto una bussola di vita. Di quelle che ti aiutano a capire come comportarti e a reggere le asprezze degli attacchi.
È una bussola che mi ha dato serenità, ad esempio, nel 2001, quando, nominato Capo dipartimento dal governo del presidente Silvio Berlusconi, nella piena consapevolezza delle mie manifeste opinioni politiche, fui violentemente attaccato proprio da persone a me più vicine politicamente. E che mi ha consentito di interloquire da amministratore, prima che da ministro, con esponenti di ogni orientamento politico su temi di assoluta delicatezza, senza mai ingenerare o avvertire il dubbio di una possibile imparzialità.
Oggi, rientrato al ministero dell’Economia e delle Finanze, con un incarico relativo agli investimenti pubblici, e tornato, contemporaneamente, come la Costituzione mi consente di fare, a iscrivermi a un partito, svolgo la mia attività di dirigente pubblico e, nelle ore libere o nelle giornate non lavorative o di congedo ordinario, professo attivamente le mie idee politiche sulla base di una memoria scritta sul finire dell’azione di governo.
Svolgo questa seconda attività da iscritto al Pd, certo non da “dirigente politico” perché non lo sono, e la svolgo avendo attenzione ad attuare il Codice di cui ho sopra scritto; in particolare a non usare alcuna informazione che io possa avere acquisito nella mia funzione amministrativa – a costo di suscitare le ironie del Foglio (cfr. articolo del 4 giugno).
Un diritto di pensiero politico. Un dovere di imparzialità. Compatibili.
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