Chiamare i lavoratori pubblici a votare i propri rappresentanti nelle Rsu, significa chiamare a una scelta democratica e prima ancora a una riflessione: riconoscere cioè la proposta, il «progetto» che è in grado di fornire respiro e prospettiva, e soprattutto soluzioni praticabili, alle aspirazioni economiche, professionali, umane di ognuno. Il progetto, cioè, che fa della persona che lavora il cardine su cui articolare professionalità, competenza, produttività. E su cui costruire un contesto normativo, contrattuale e organizzativo che ne valorizzi il contributo in termini di crescita e di miglioramento dei servizi pubblici.Riscoprire il potenziale delle persone è ciò di cui ha bisogno la pubblica amministrazione italiana per scrollarsi di dosso i panni polverosi della «burocrazia», e diventare finalmente la «infrastruttura immateriale» efficiente, duttile e moderna che sa rispondere alle nuove esigenze dei cittadini. Il pubblico impiego è fatto di persone con un livello di istruzione mediamente molto elevato e un bagaglio importante di competenze professionali e relazionali. Spesso però mortificate dall’appiattimento della «macchina», dalla scarsa attenzione al benessere organizzativo, dalla farragine ottocentesca delle procedure, dalla mancanza di orientamenti chiari e coerenti nella gestione degli enti, dalla rete delle convenienze e delle amicizie che scavalcano il tanto sbandierato «merito». Mali antichi, preesistenti alla crisi, a cui si sono aggiunti quelli nuovi come il blocco degli stipendi e la contrazione drammatica delle risorse finanziarie e umane. La battaglia è rilanciare redditi e contratti. I dati pubblicati nei giorni scorsi da Eurostat fotografano un disagio materiale, comune alla stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti sia pubblici che privati, che spiega con la crudezza incontrovertibile delle cifre tutta l’urgenza di un cambiamento di rotta. Ci dicono che, con i suoi 23 mila euro all’anno di stipendio medio a fronte di quelli di Francia e Spagna che viaggiano rispettivamente sui 33 e 26 mila (per non dire dei 41 mila della Germania), e il cuneo fiscale e contributivo che per un lavoratore dipendente sfiora il 60%, l’Italia si piazza al gradino più basso per i salari, cui fa da odioso contraltare il primato negli stipendi di politici e manager pubblici e privati. Ancora più dettagliato e impietoso lo sguardo dell’Ocse, che nel rapporto «Government at a glance 2011» ha rilevato come gli alti dirigenti della pubblica amministrazione italiana siano i più pagati in assoluto. Sia rispetto a competitor europei come Francia (che pure ha una spesa complessiva per il settore pubblico più alta, tanto in termini procapite quanto di percentuale di pil) e Spagna, sia rispetto ai prosperi Paesi scandinavi, e perfino rispetto agli Usa. Con quale credibilità si può continuare a sostenere che sono le retribuzioni del personale di comparto e non quelle di management e posizioni apicali a gonfiare la spesa pubblica?Riorganizzare gli enti, puntare sulle professioni. La questione vera, il cuore della nostra battaglia come Cisl, è riqualificare la spesa della p.a. per far entrare nelle tasche dei lavoratori i soldi che oggi vanno sprecati in mille rivoli. Ci sono interi serbatoi di spesa improduttiva da recuperare nei troppi centri d’acquisto, nelle consulenze, nei cda delle società partecipate e affini, nella disorganizzazione degli enti, nella corruzione. Razionalizzare per risparmiare, razionalizzare per reinvestire: in formazione e nuove professionalità, in innovazione organizzativa e tecnologica, in flessibilità «buona» che metta insieme necessità del singolo lavoratore e necessità del servizio, in retribuzioni migliori. Ma anche in un sistema di certificazione delle competenze che valorizzi l’esperienza e il saper fare e in un osservatorio delle professioni che costituisca un tavolo di confronto permanente per stabilire quale parte del lavoro pubblico serva alle comunità, come si possa migliorare, quali professioni siano utili a garantire servizi migliori.Più ruolo alle Rsu, più partecipazione nei posti di lavoro. Un processo complicato ma decisivo, al quale ciascuno avrà la possibilità di contribuire attivamente. E non solo al momento del voto ma anche dopo, grazie al ruolo nuovo e fortemente partecipativo che le Rsu saranno chiamate a svolgere nel quadro delle relazioni sindacali decentrate. Facendo da collettori e interpreti delle esigenze di chi lavora all’interno di ciascuna amministrazione, esse daranno corpo a quella funzione di laboratorio di idee e proposte di miglioramento che gli accordi sul nuovo modello contrattuale riconoscono. E allo stesso tempo dovranno essere il motore della riorganizzazione degli enti, della trasparenza, della contrattazione decentrata che vogliamo far ripartire.I veri protagonisti del cambiamento negli enti saranno i lavoratori pubblici. Quegli stessi lavoratori pubblici che finora hanno contribuito al risanamento dei conti a prezzo di sacrifici pesanti e anche ingiusti, e che ora reclamano serietà nel riqualificare la spesa pubblica e riconoscimento del loro impegno. Rivendicazioni che sono le due facce della stessa medaglia: perché non da altro debito pubblico né da altre tasse ai cittadini, ma dalla spending review, dai piani di razionalizzazione, dallo snellimento dell’apparato amministrativo, insomma da un efficientamento complessivo della pubblica amministrazione, devono venire le risorse per far ripartire contratti e retribuzioni. Questo, unitamente a un sistema fiscale più moderno e giusto che riduca il cuneo micidiale sui redditi da lavoro e da pensione, detassi la produttività nel pubblico come nel privato, e contrasti con forza l’evasione, è ciò su cui la Cisl Fp chiede la fiducia dei lavoratori. E ciò per cui è pronta a dare battaglia.
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