Dirigente medico: diritto all’indennità per ferie non godute confermato dalla Cassazione

20 Maggio 2024
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Con l’ordinanza n. 9877 dell’11 aprile 2024, la Cassazione, Sezione Lavoro, ha ribadito che il potere di autodeterminazione delle ferie del dirigente di struttura complessa non è assoluto, come evidenziato dal comma 8 dell’art. 21 del CCNL del 5 dicembre 1996. Tale potere non esonera il datore di lavoro dall’obbligo di assicurarsi che il lavoratore sia effettivamente posto in grado di fruire delle ferie. Di conseguenza, il datore di lavoro deve dimostrare di aver invitato formalmente il lavoratore a godere delle ferie e di averlo informato in modo accurato e tempestivo, garantendo che le ferie siano ancora idonee a garantire il necessario riposo e relax. In mancanza di tale invito e informazione, le ferie non godute andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato.

Il caso

Il Tribunale di Avezzano ha respinto la domanda del Direttore facente funzioni della UOC di Ortopedia del Presidio Ospedaliero di (Omissis), volta a ottenere il pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie maturate e non godute (171 giorni, per un importo lordo di euro 43.397,11).

La Corte di Appello di L’Aquila, in accoglimento dell’appello principale proposto dalla ASL 1 (Omissis), ha riformato la sentenza del Tribunale e ha respinto l’appello incidentale proposto dal (Omissis), condannandolo al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio. La Corte territoriale ha interpretato l’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95/2012, alla luce della sentenza n. 95/2016 della Corte costituzionale, sostenendo che è possibile la monetizzazione delle ferie residue alla cessazione dell’attività lavorativa solo se il mancato godimento è dovuto a cause non imputabili al lavoratore.

Il dirigente medico, responsabile di struttura complessa, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di appello, sostenendo che il lavoratore ha diritto alla monetizzazione delle ferie quando il mancato godimento delle stesse non è imputabile a lui, come nel caso di specie, richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 95/2016.

I principi di diritto

Nell’ordinanza si richiama innanzitutto la pronuncia n. 13613/2020 della Cassazione, secondo cui il dirigente che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non ha fruito delle ferie, ha diritto a un’indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo messo nelle condizioni di esercitare il diritto in questione prima di tale cessazione, mediante un’adeguata informazione e, se del caso, invitandolo formalmente a farlo.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 95/2016, ha stabilito che l’art. 5, comma 8, d.l. n. 95/2012, che vieta la monetizzazione delle ferie non godute alla cessazione dell’attività lavorativa, non è costituzionalmente illegittimo. Tuttavia, la perdita del diritto alla monetizzazione non può avvenire se il mancato godimento delle ferie è incolpevole, anche quando dipende dalla capacità organizzativa del datore di lavoro.
Inoltre, la Corte di Giustizia UE, con sentenza del 18 gennaio 2024, in C-218/22, ha stabilito che l’art. 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e l’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea si oppongono a una normativa nazionale che vieta di versare al lavoratore un’indennità finanziaria per i giorni di ferie non godute alla cessazione del rapporto di lavoro, se il lavoratore non ha dimostrato di non aver usufruito delle ferie per motivi indipendenti dalla sua volontà.
I giudici di legittimità ribadiscono che il potere di autodeterminazione delle ferie del dirigente di struttura complessa non è assoluto, come previsto dal comma 8 dell’art. 21 del CCNL 5 dicembre 1996, e che il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire che il lavoratore possa fruire delle ferie. La mancanza di un invito formale a godere delle ferie, unita alla carenza di personale e al consistente accumulo di ferie non godute, rende la sentenza impugnata non conforme ai principi giurisprudenziali sopra esposti.

In conclusione la Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, con rinvio alla Corte di Appello di L’Aquila.

Redazione Il Personale

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