Con l’approvazione dell’articolo 9, quello sulla dirigenza pubblica, l’iter della riforma ha compiuto un altro passo avanti importante. La delega prevede l’istituzione dei tre ruoli unici (Stato, regioni ed enti locali) e il superamento delle due fasce laddove esistono (ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici, università e presidenza del consiglio). Esclusi dal ruolo unico diplomatici, prefetti e dirigenti delle Authority. Gli incarichi saranno a termine (4 anni rinnovabili) e per i dirigenti che rimarranno senza incarico potrebbe scattare la retrocessione a funzionario dopo una procedura particolare, mentre l’ipotesi di licenziamento è vincolata a un valutazione negativa sull’ultimo incarico ricoperto. La carriera e la retribuzione verranno agganciate a una valutazione delle performance e gli incarichi assegnati passeranno al vaglio di tre commissioni ad hoc (Stato, Regioni e comuni). Approvato anche un emendamento di M5S che prevede la revoca e il divieto dell’incarico in settori esposti a rischio corruzione ai dirigenti condannati anche in via non definitiva dalla Corte del conti al risarcimento del danno erariale per condotte dolose. Scompare poi la figura dei segretari comunali ma con una norma ponte che per tre anni consentirà ai medesimi di svolgere le stesse funzioni pur essendo confluiti nel ruolo unico dei dirigenti locali. Novità anche per l’Avvocatura dello Stato, a cui è dedicato l’articolo 9-bis inserito durante i lavori in commissione a Montecitorio e che prevede il divieto di affidare posizioni direttive per chi è vicino alla pensione e incarichi sulla base del merito. Con un emendamento del Pd, riformulato dal relatore Ernesto Carbone si allargano poi le maglie per i pensionati nella Pa: il tetto di un anno (senza possibilità di rinnovo) vale solo per i ruoli direttivi. Le altre cariche e le collaborazioni sono comunque consentite.
L’altro articolo rilevante approvato ieri è il 13, che delega il governo ad adottare entro 18 mesi un nuovo testo unico sul pubblico impiego, un fronte che si incrocerà nel confronto sindacale con la riapertura del negoziato per il rinnovo dei contratti dopo la sentenza della Consulta del mese di giugno. Tra le novità dell’ultima ora l’emendamento che fa saltare lo sbarramento del voto minimo di laurea per i concorsi centralizzati che consentiranno l’accesso a tutte le amministrazioni. Ma nel nuovo testo unico ci sarà anche il superamento delle vecchie dotazioni organiche per facilitare i processi di mobilità, mentre verrà rafforzato il principio della separazione tra indirizzo politico-amministrativo e gestione.
Infine i testi unici sulle partecipate e i servizi pubblici locali, deleghe che daranno ordine al settore introducendo regole più omogenee sulle nomine e indurranno ad accorpamenti e riduzione delle società.
La maratona notturna ha fatto seguito alla già lunga seduta di mercoledì con la quale è stato dato il via all’articolo 7 sulla riorganizzazione delle sedi periferiche dello Stato e i nuovi vincoli su stipendi e finanziamenti delle Authority. Sempre nella seduta di mercoledì è stato dato l’ok a un emendamento che prevede l’istituzione del nuovo numero unico europeo per le emergenze (112) su tutto il territorio nazionale con centrali operative regionali. Costo dell’operazione 58 milioni reperiti dai Fondi di riserva e speciali del ministero dell’Economia.
Il ministero della Pa, Marianna Madia, intervenendo ieri mattina in Aula ha tenuto a sottolineare che con la riforma «sarà superata la figura dei segretari comunali ma non le funzioni di legalità». Proprio i Comuni di fatto sono stati al centro di uno degli ultimi emendamenti presentati dal relatore, Ernesto Carbone (Pd). Il ritocco prevede che il governo dovrà definire i nuovi “requisiti” per la scelta dei futuri dirigenti generale dei Comuni con più di 100mila abitanti.
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