Un esercito imponente composto da oltre ventimila persone, con le mansioni più disparate, che costano alle casse siciliane oltre 310 milioni di euro. Sono i numeri record che fotografano la situazione dei lavoratori precari della Regione Sicilia. Numeri che per troppo tempo sono rimasti in un cassetto, in modo tale che non si potesse rispondere dettagliatamente a una domanda essenziale per fotografare la situazione occupazionale dell’isola: quanti sono i lavoratori pubblici precari in Sicilia? Secondo il report diffuso nei giorni scorsi dalla Cisl Sicilia, sull’isola i precari nel pubblico impiego sono 24.754.
Più di diciottomila hanno un contratto a tempo determinato siglata dalla Regione Siciliana, che spende ogni anno 257 milioni di euro di stipendi. Nell’isola dove il lavoro fa spesso rima con una sigla, però, il conto dei precari non si ferma soltanto a chi non ha un contratto a tempo indeterminato. In Sicilia ci sono infatti quasi seimila lavoratori socialmente utili, indicati più comunemente anche con il semplice acronimo, Lsu: per loro dalle casse della Regione escono ogni anno 53 milioni di euro. Un vero record se si considera che, secondo la l’ Associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre, i precari della pubblica amministrazione in tutta Italia sono 317 mila. E a parte i picchi notevoli degli uffici romani, il paragone tra i 400 dipendenti a tempo determinato della Regione Piemonte e i quasi venticinquemila della Sicilia sottolinea l’emergenza dell’isola.
In Sicilia infatti il precariato negli uffici pubblici più che un’eccezione è diventata la regola. A Capo d’Orlando, cittadina di tredicimila abitanti in provincia di Messina, su trecento dipendenti del comune, ben 214 non hanno un contratto a tempo determinato: più del 70 per cento dell’intera pianta organica. Simile la situazione a Castelvetrano, dove sono precari 304 dipendenti del comune su un totale di 443. Numeri record anche ad Alcamo, in provincia di Trapani, per anni indicata come capitale del lavoro interinale, dove su 800 dipendenti comunali ben 548 sono impiegati a tempo determinato. Numeri indicativi anche nei capoluoghi di provincia come Enna, città dell’ex parlamentare del Pd (poi cancellato dalle liste per le elezioni politiche dopo l’appello di Franca Rame) Mirello Crisafulli, dove i precari sono più del quaranta per cento di tutti i dipendenti comunali. Arrivano quasi al trenta per cento i precari del comune di Agrigento, mentre si distingue in positivo il comune di Ragusa, dove non è segnalato nessun dipendente a tempo determinato.
Dipendenti a tempo determinato sono presenti anche negli uffici dei vari enti regionali come le Ipab e le Aziende sanitarie provinciali, dove i precari sono quasi tremila. Ma perché in Sicilia il cappio del precariato, già diffusissimo negli altri settori lavorativi, è riuscito negli anni a cingere così strettamente anche le pubbliche amministrazioni? Gigi Caracausi, segretario regionale della Cisl Funzione Pubblica Sicilia, risponde netto: “Tutta colpa di vent’anni di clientele politiche: il lavoratore precario vuol dire consenso elettorale, che si rinnova ad ogni elezione, ed è per questo che non sono mai stati stabilizzati. Ora alle urne è cambiato qualcosa, i precari non assicurano più voti, ed è per questo che la politica ha abbandonato venticinquemila siciliani, con le loro famiglie al seguito”.
La storia del precariato nella pubblica amministrazione siciliana è antica. E affonda le sue origini nei primi anni ’90, quando lo Stato bloccò le assunzioni pubbliche. In Sicilia però, il Parlamento regionale rimase sordo ai diktat romani, e con alcune semplici leggine iniziò a reclutare soldati per quello che oggi è forse il più vasto esercito di dipendenti pubblici precari: ci furono anni in cui per essere chiamati bastava solo presentare una domandina all’ufficio di collocamento. Nessun concorso, nessun titolo accademico ma solo l’amicizia del ras politico locale. Ed è così che una fattispecie fino a quel momento molto rara divenne vera e propria patologia in Sicilia. Che oggi rischia di diventare anche un vero e proprio allarme sociale. Su oltre ventiquattromila precari siciliani della pubblica amministrazione, solo 1.400 sono under 40: quasi quindicimila invece hanno un’età compresa tra i 40 e i 50 anni, mentre tutti gli altri veleggiano addirittura verso i 60. Inseriti venti o trent’anni fa nei vari rivoli dell’amministrazione pubblica, non hanno mai fatto un concorso, e da allora aspettano di essere stabilizzati, vedendo la loro condizione rimbalzare ogni anno tra gli emendamenti discussi, e poi quasi mai approvati, tra i banchi dell’assemblea regionale siciliana. Ed essendo sempre stati lavoratori pubblici precari non avranno diritto nemmeno ad una vera pensione: nel frattempo però per molti di loro gli anni passano, ma di stabilizzazione non se ne parla.
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