Fattura elettronica, il Senato chiede i codici solo dal 2015

Dl Irpef. Emendamenti bipartisan

Marcello Serra 16 Maggio 2014
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Lavori in corso per evitare che la partenza della fatturazione elettronica si trasformi in un boomerang per i fornitori della Pa. Una serie di emendamenti trasversali al decreto Irpef presentati al Senato punta a prorogare e correggere le norme che rischiano di bloccare i pagamenti nel caso in cui le nuove fatture telematiche non contengano il Codice identificativo di gara (Cig) e il Codice unico di progetto (Cup).

Come noto, il 6 giugno prossimo scatta l’obbligo dell’utilizzo della fattura nei rapporti con ministeri, agenzie fiscali ed enti di previdenza. Il Dl anticipa inoltre al 31 marzo 2015 (dal 6 giugno 2015) l’obbligo per forniture verso tutte le altre Pa. Ma un’altra delle novità introdotte dal decreto, cioè l’obbligo per i fornitori di inserire nelle fatture il Cig e il Cup, ha fatto scattare nelle ultime settimane l’allarme delle imprese, dai più piccoli ai più grandi fornitori della Pa.

Il problema è finito al centro di alcuni emendamenti che mirano in prima battuta a rinviare l’obbligo di riportare i codici dal 6 giugno 2014 al 31 marzo 2015 (in subordine, le imprese propongono di spostarlo fino a 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione). E, inoltre, secondo emendamenti analoghi presentati da Pd, Ncd, Forza Italia e gruppo Per l’Italia, in assenza di codici la Pa sono legittimate a non pagare solo se in precedenza avevano comunicato queste informazioni ai fornitori.

Su questi aspetti ci sono stati diversi incontri a livello tecnico, anche con Ragioneria dello Stato, Agenzia delle entrate, Agenzia per l’Italia digitale e con gli altri attori che partecipano al Forum italiano sulla fatturazione elettronica. Il decreto introduce l’obbligo di prevedere nei documenti digitali Cig e Cup con l’obiettivo, sollecitato dalla Ragioneria, di avere in automatico un continuo monitoraggio dell’avanzamento della spesa per singoli progetti e unità organizzative. Un fine condivisibile, secondo le stesse imprese, perché consentirebbe di avere finalmente un quadro certo dei pagamenti arretrati e di mettere fine al fenomeno dei debiti fuori bilancio. Il problema è rappresentato dai tempi, estremamente stretti per chi ha già effettuato investimenti per adeguare i sistemi informatici, e soprattutto dalla previsione del divieto di pagamento da parte delle Pa in caso di mancato inserimento dei codici. I fornitori potrebbero in realtà non disporne, dal momento che la normativa di riferimento (relativa alla tracciabilità finanziaria) ne prevede solo l’inserimento nelle operazioni di pagamento da parte delle Pa ma non dispone un esplicito obbligo di comunicarli ai fornitori. Insomma: in assenza di modifiche, da giugno le imprese potrebbero avere l’obbligo di mettere in fattura dati che non hanno mai ricevuto e che per altro sono in già possesso dei committenti.

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