I collegamenti con la contrattazione nazionale e con i sistemi di programmazione e gestione del personale

Una sintesi sui collegamenti tra i codici di comportamento con la contrattazione nazionale e con i sistemi di programmazione e gestione del personale

11 Ottobre 2023
Modifica zoom
100%

Il rapporto tra codici di comportamento e contrattazione collettiva

Per cercare di comprendere tale rapporto, reso molto complesso dalla pluralità di fonti che insistono sul tema doveri/sanzioni, è utile ripercorrere alcuni passaggi ripresi dalle Linee guida del 2020.
A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 190/2012, che ha conferito rilievo disciplinare alle violazioni dei codici di comportamento, è emerso il problema della concorrenza fra le fonti unilaterali di disciplina dei doveri di comportamento (legge, codice di comportamento nazionale e codici di comportamento di amministrazione) e fonti contrattuali.
“Ai sensi dell’art. 55, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, il “codice disciplinare” (contenuto nel CCNL) è l’unica fonte abilitata a operare la necessaria corrispondenza fra la violazione dei doveri, compresi, naturalmente, quelli contenuti nel codice di comportamento, e le sanzioni applicabili.
La definizione dei comportamenti dovuti, assistiti o assistibili da sanzione disciplinare, è rimessa alla regolamentazione del lavoro privato (art. 2106 c.c.), in parte alla legge (v. art. 54, 55 bis, c. 7, 55-quater, 55-sexies) e a fonti autorizzate dalla legge, al codice di comportamento nazionale e ai contratti collettivi16 (art. 40 d.lgs. 165/2001).”
Nel tempo si è delineata, quindi, in assenza di un coordinamento, una concorrenza fra codici di comportamento e contratti nella definizione di doveri e obblighi di comportamento, ferma restando la indiscussa fissazione delle sanzioni disciplinari solo nei contratti.
In sostanza, i doveri di comportamento sono fissati da più fonti e la corrispondenza tra loro violazione e relative sanzioni non viene chiaramente ed esaustivamente definita da parte della fonte competente, ossia il codice disciplinare contenuto nei contratti nazionali.
L’ANAC sostiene, quindi, nelle Linee guida che “[…] sarebbe opportuno ripensare ai rapporti fra il codice nazionale e le norme dei contratti collettivi che fissano doveri in capo ai dipendenti in modo da improntarli alla prevalenza della fonte unilaterale e, solo in via residuale o integrativa, della fonte contrattuale. Il codice nazionale, cioè, dovrebbe definire in generale i doveri dei pubblici dipendenti, mentre i contratti collettivi dovrebbero occuparsi di individuare i doveri lasciati alla fonte contrattuale e preoccuparsi della parte disciplinare anche tenendo in debito conto i doveri del codice nazionale.”
L’ANAC quindi avrebbe desiderato una semplificazione e chiarificazione delle fonti dei doveri dei pubblici dipendenti, lasciando al contratto nazionale, tramite il codice disciplinare, il compito di definire l’ambito della corrispondenza tra violazioni dei doveri e tipo di sanzioni. Scriveva l’ANAC a tale proposito:
“L’ANAC auspica che le amministrazioni che hanno competenza sulla contrattazione collettiva, e in particolare DFP e ARAN, si adoperino per le necessarie correzioni ai contratti nazionali di comparto vigenti e promuovano, per i nuovi contratti, criteri che tengano in debito conto l’ambito di competenza del codice di comportamento nazionale nella definizione dei doveri di comportamento. Analogamente, visto l’attuale stato della vigente legislazione che prevede che le sanzioni applicabili in caso di violazioni siano quelle definite dal codice disciplinare dei contratti collettivi (art. 54 del d.lgs. 165/2001 e art. 16 d.P.R. 62/2013), sarebbe importante valutare una diversa formulazione delle parti dei contratti collettivi che riguardano la corrispondenza fra doveri e sanzioni, al fine di richiamare espressamente anche i doveri del codice nazionale, superando così le attuali clausole generiche di rinvio. Ciò al fine di dare autonoma rilevanza disciplinare sostanziale alle violazioni del codice.”
Ma cosa è successo nell’ultima tornata contrattuale, ossia – per le Funzioni Locali – nel CCNL del 16.11.2022?
All’art. 71 (Obblighi del dipendente) è stato previsto espressamente (come nel CCNL precedente) che il dipendente deve adeguare il proprio comportamento al codice nazionale e al codice di amministrazione.
All’art. 72 (Codice disciplinare), ove sono previste le sanzioni, soltanto nel licenziamento con preavviso è previsto, al comma 9, lett. f), un rinvio specifico all’art. 16, comma 2, secondo e terzo periodo, del codice nazionale, mancando, in generale, la precisa formulazione richiesta nelle Linee guida sopra citate della corrispondenza tra violazioni del codice di comportamento e specifiche sanzioni per le violazioni allo stesso.

Figura 2 – Le differenze tra codici di comportamento e codice disciplinare

Clicca qui per visuallizzare l’infografica

Il rapporto tra codice nazionale e codice di ente e il ruolo dei codici nel piano nazionale anticorruzione

a) Che rapporto esiste tra il codice di comportamento nazionale e il codice adottato dalla singola amministrazione?

Il codice di comportamento nazionale stabilisce i doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i dipendenti pubblici sono tenuti ad osservare, riferibili ad una figura tipica di pubblico funzionario, tenuto al rispetto di quei doveri indipendentemente dall’amministrazione presso cui presta servizio.
Il codice di comportamento dell’ente integra e specifica il codice di comportamento nazionale, secondo una logica di pianificazione a cascata, e contestualizzando i contenuti alle peculiarità organizzative della singola amministrazione.
Il Consiglio di Stato – nel parere reso il 21 febbraio 2013, n. 97, reso sullo schema del primo d.P.R.  – ha, infatti, precisato che “[…] i codici di comportamento delle singole amministrazioni, nell’integrare e specificare le regole del codice, non possono però scendere al di sotto dei doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare”  e le Linee Guida 2020 hanno chiarito che “i codici di comportamento delle singole amministrazioni possono integrare e specificare le regole del Codice, ma non attenuarle.”
Il codice di ente non deve, pertanto, replicare in modo acritico i contenuti dello stesso codice nazionale e nemmeno sconfinare in aree riservate ad altre fonti, ma prevedere:

  • Doveri integrativi, che completano il quadro dei precetti previsti dal codice nazionale, allo scopo di meglio conseguire gli obiettivi;
  • Doveri specificativi, traducono le prescrizioni generiche del codice nazionale in prescrizioni specifiche, per chiarire il comportamento atteso dagli stessi destinatari del codice;

Al fine di operare una efficace contestualizzazione dei contenuti specifici del codice di ente, le Linee guida 2020 prescrivono una procedura di formazione improntata alla massima partecipazione di tutti gli stakeholders, sostanzialmente composta dalle seguenti fasi:

  • Redazione di una prima bozza di codice a cura del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, avvalendosi della collaborazione dell’UPD;
  • Rilascio del parere obbligatorio sulla bozza di codice a cura dell’OIV o Nucleo di valutazione;
  • Adozione della deliberazione/decreti di approvazione preliminare da parte della Giunta (nei comuni) e del presidente (nelle province);
  • Fase consultiva per la raccolta delle osservazioni da parte dei portatori di interessi sia interni all’ente che esterni (ordini, associazioni di categoria, organismi sindacali e altro);
  • Adozione della deliberazione di approvazione definitiva da parte dell’organo politico di cui sopra, dando atto dei contributi accolti nella fase consultiva e di quelli non accolti indicandone la motivazione.

b) Che rapporto esiste tra il codice di comportamento di ente e il piano triennale di prevenzione della corruzione e trasparenza (PTPCT)?

La relazione è di stretto collegamento per la realizzazione della strategia anticorruttiva, come previsto dal paragrafo 6 delle Linee guida 2020 e dal paragrafo 1.3 del PNA 2019)
In particolare, si tratta di una relazione di complementarietà: “[…] Ne discende che il codice è elaborato in stretta sinergia con il PTPCT. Il fine è quello di tradurre gli obiettivi di riduzione del rischio corruttivo che il PTPCT persegue con misure di tipo oggettivo e organizzativo (organizzazione degli uffici, dei procedimenti/processi, dei controlli interni) in doveri di comportamento di lunga durata dei dipendenti.”
Attraverso il PTPCT, si valuta il rischio corruttivo di ciascun procedimento mappato e si definiscono le misure di prevenzione (profilo oggettivo), mentre, attraverso il dettaglio delle disposizioni del codice, si definiscono i comportamenti da tenere funzionali all’efficacia di quelle misure di prevenzione (profilo soggettivo).
La domanda da porsi è pertanto: “Le misure oggettive, organizzative,  di prevenzione della corruzione che ricadute devono avere in termini di doveri di comportamento dei dipendenti?” oppure “Quali sono i doveri di comportamento che devo prevedere per rendere efficaci quelle misure di prevenzione?”

Il rapporto tra codice di comportamento e il sistema di misurazione e valutazione della performance (SMVP)

Una delle funzioni fondamentali del sistema di misurazione e valutazione della performance è indirizzare il comportamento dei dipendenti verso il comportamento atteso dal ruolo che rivestono nell’organizzazione.
I dipendenti pubblici rivestono funzioni pubbliche che, oltre ai comportamenti richiesti dal ruolo che rendono più efficace la messa a terra delle conoscenze tecnico – professionali e specialistiche, hanno anche il dovere di tenere comportamenti improntati ai principi costituzionali e di legge che abbiamo velocemente ripassato in questo approfondimento.
E’ pertanto evidente che il rapporto tra codice e sistema di misurazione e valutazione della performance dovrebbe essere di strumentalità di quest’ultimo per l’indirizzamento del comportamento verso il rispetto dei doveri sanciti nel codice.
Il SMVP deve, pertanto, tener conto non solo del raggiungimento degli obiettivi, ma anche della corrispondenza dei comportamenti messi in atto nel perseguimento di quegli stessi obiettivi rispetto ai valori della pubblica amministrazione in generale e dell’organizzazione pubblica in cui si è inseriti, ossia ai contenuti dei codici di comportamento.
Come il SMVP può tener conto della violazione dei codici di comportamento?

A titolo di esempio:

  • inserendo penalizzazioni nella valutazione se viene violato il codice, indipendentemente dal raggiungimento degli obiettivi;
  • per i dirigenti, alcuni doveri contenuti nel codice possono essere tradotti in obiettivi di PF (vedi la conoscenza del codice potrebbe essere tradotta in obiettivi prevedendo incontri periodici coi dipendenti per valutare l’efficacia delle previsioni in esso contenute)
  • sempre per i dirigenti il dovere di curare il benessere organizzativo, si potrebbe declinare in obiettivi specifici, misurabili in sede di valutazione della PF attraverso specifici strumenti (prendendo, per esempio, come spunto le domande del questionario Civit del 2013 sul benessere organizzativo).

Leggi sulla medesima questione:

Parte 1: “In breve, l’origine del codice di comportamento nazionale e normativa vigente”
Parte 3: “Uno sguardo alle nuove disposizioni introdotte dal d.P.R. n. 81/2023”
Parte 4: “L’applicazione dei codici a soggetti esterni all’organizzazione”

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento