I dipendenti delle Province? Conserveranno la stessa retribuzione

La riforma Nel passaggio ai nuovi enti prevista una clausola di salvaguardia delle qualifiche. Debuttano le elezioni di «mid-term»

Marcello Serra 20 Novembre 2013
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Ci potrebbero guadagnare, se trasferiti alle Regioni, dove in media gli stipendi sono più alti. Oppure perdere, se fatti traslocare nei Comuni, dove di solito si guadagna meno. E invece, in quel romanzo d’appendice chiamato abolizione delle province, almeno un punto fermo c’è: la busta paga dei dipendenti non subirà variazioni. «Il personale trasferito dalle province mantiene il trattamento economico in godimento» dice un emendamento presentato dai relatori Gianclaudio Bressa (Pd) ed Elena Centemero (Forza Italia) al cosiddetto disegno di legge «svuota province», all’esame della commissione Affari costituzionali della Camera. Un’assicurazione che fa il paio con l’impegno a garantire i livelli occupazionali, firmato ieri dai sindacati e dal ministro per gli Affari regionali Graziano Delrio.

Sul resto del disegno di legge, però, siamo alla corsa contro il tempo, con relative mediazioni per superare quelle resistenze che finora hanno rallentato il passo. Approvato dal consiglio dei ministri prima dell’estate, il Ddl riduce le competenze delle province e le trasforma in enti di secondo livello, cioè senza il voto dei cittadini e con un presidente e un consiglio eletti dai sindaci del territorio. Se non diventerà legge entro gennaio, a primavera si voterà per 70 province in scadenza, affossando l’ennesimo tentativo di riforma. Un rischio che il governo vuole evitare, anche a costo di concedere qualcosa. Esempi? Un altro emendamento dei relatori allarga il numero dei grandi elettori. A votare per il presidente della provincia non saranno più solo i sindaci del territorio, come nel testo uscito da Palazzo Chigi, ma anche tutti i consiglieri comunali della zona. Non solo. Anche se di secondo livello, per le nuove province sono in arrivo le elezioni di mid term: mentre il mandato del presidente durerà quattro anni, quello del consiglio solo due. E quindi a metà strada sindaci e consiglieri dovranno votare di nuovo per il consiglio provinciale, che ha pur sempre il compito di preparare statuto e bilancio. Sempre scorrendo i 30 emendamenti dei relatori che riscrivono in buona parte il testo governativo, alle nuove province viene aggiunta la funzione di «assistenza tecnico amministrativa agli enti locali». Mentre un’altra eccezione viene fatta per le «province con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri». Dovranno avere «cura dello sviluppo strategico del territorio» anche «stipulando accordi e convenzioni» con altri enti locali, compresi quelli di Stati esteri. A ricadere nella categoria c’è Sondrio, che già al tempo del taglio delle province tentato dal governo Monti si era salvata dalla fusione prevista in un primo momento. Cambia poi il meccanismo per pesare il voto dei comuni, a secondo del numero degli abitanti, nell’elezione indiretta dei nuovi organi provinciali. «Rispetto al testo del governo abbiamo cercato di dare meno peso al capoluogo riequilibrando i rapporti di forza sul territorio», dice la relatrice per Forza Italia Centemero.

Una modifica importante riguarda poi i cosiddetti enti intermedi, società e agenzie create dalle province per una serie di compiti che potrebbero svolgere da sole. Dopo una lunga istruttoria tecnica si è preso atto che non possono essere cancellate d’un colpo. Saranno le Regioni a poterle sopprimere. Chi lo farà entro tre mesi avrà la precedenza nell’assegnazione dei fondi statali per il trasporto pubblico locale. I soldi sono pochi, le aziende degli autobus sempre in rosso. L’incentivo potrebbe funzionare.

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