Una svolta all’insegna della semplificazione e della certezza delle regole. Questo è il messaggio che viene fuori dalla riforma del contratto a termine approvata dal Governo. Dopo il varo delle nuove norme si sono levate voci critiche, provenienti da ambienti molto diversi tra loro ma accomunate da una tesi apparentemente difficile da confutare: la riforma, è stato detto, è molto pericolosa, perché aprirà le porte al precariato senza freni.
La tesi è tanto affascinante quanto totalmente infondata. La causale – grande vittima del decreto Poletti – non ha mai consentito alcun controllo contro gli abusi ma, anzi, in assenza di limiti quantitativi fissati per legge, è stata la foglia di fico dietro la quale si è coperto un ricorso massiccio al lavoro a tempo. E un ricorso altrettanto massiccio ai tribunali.
Il sistema previsto dalla riforma intende impedire proprio il ripetersi di questi fenomeni. La fissazione di un tetto quantitativo del 20% dell’organico, infatti, consentirà di prevenire qualsiasi presunta precarizzazione del mercato. Certo, i contratti collettivi potranno alzare (o abbassare) la soglia; ma la necessità del consenso sindacale impedirà abusi o stravolgimenti del mercato. E ancor meno credibile appare il rischio di eccessiva liberalizzazione del lavoro a tempo, se si considera che il tetto del 20% dovrà combinarsi anche con il limite di durata massima del rapporto di lavoro, 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi.
Pur in presenza di queste innovazioni positive, ci sono alcuni aspetti su cui è necessaria una riflessione aggiuntiva. Un punto delicato è quello delle otto proroghe, specie se riferite al singolo contratto, e non all’intero periodo; bisogna valutare bene se questa misura è compatibile con i principi comunitari, anche perché il mercato del lavoro può permettersi una nuova stagione di incertezze normative. Per la stessa ragione, in sede di conversione dovranno essere risolti alcuni importanti problemi tecnici. La novità della causale non è stata coordinata con le norme che, sino a oggi, prevedevano regimi agevolati per alcuni settori (poste, servizi di volo, scuola, mobilità eccetera).
Ci sono poi dei refusi da correggere presto, come il mantenimento dell’onere della prova scritta delle ragioni della proroga (non ha senso dover provare ragioni che non sono più richieste) oppure il riferimento all’acausalità, oggi abrogata, del primo contratto.
Il decreto, molto opportunamente, si coordina con la somministrazione di manodopera, togliendo la causale anche per tale rapporto. Ma resta aperto qualche dubbio che meriterebbe di essere sciolto (l’inapplicabilità del limite quantitativo, la persistenza di regimi speciali) e anche una grande domanda: in un sistema nel quale i rapporti a termine non hanno più la casuale, che senso ha mantenere delle “causali” per la forma più tutelante, la somministrazione a tempo indeterminato?
Infine, merita un cenno l’impatto della riforma sulla pubblica amministrazione. Le nuove norme varranno anche per i datori di lavoro pubblici, ma per questi resta in vita la normativa che consente il ricorso al lavoro temporaneo solo in circostanze eccezionali.
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