di V. Giannotti (ilpersonale.go-vip.net 23/2/2016)
Non rientrano nelle ipotesi del mobbing la cattiva organizzazione del lavoro, l’attivazione di procedimenti disciplinari, il diniego di un eventuale trasferimento per incompatibilità ambientale, eventuali procedimenti penali ottenuti a fronte delle condizioni precarie di lavoro, i malesseri psicologici avuti dalla dipendente e certificati da medici competenti, in quanto per la Suprema Corte quello che conta per la qualificazione del fenomeno del mobbing sono i seguenti presupposti:
a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.
Tali sono le conclusioni a cui pervengono i giudici di Palazzo Cavour con la sentenza 15 febbnraio 2016, n. 2920.
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