di S. Simonetti (ilpersonale.go-vip.net 3/3/2016)
In un momento storico nel quale la Sanità pubblica sta attraversando una evidente criticità dovuta a numerose ragioni, tra le quali la principale è la scarsità di risorse finanziarie, accade che comportamenti personali che in altri tempi sarebbero stati tollerati o gestiti diversamente diventano un problema proprio perché con le carenze organiche ormai strutturali il sistema non può più permettersi una gestione del personale che non sia improntata al pieno rispetto degli adempimenti contrattuali. Una fattispecie particolare, non frequentissima per fortuna, ma più presente di quanto si possa immaginare, è quella del rifiuto da parte del dipendente di eseguire compiti o prestazioni che si ritengono costituire declassamento o non essere conformi al proprio stato di salute. Quando si parla di mansioni del dipendente pubblico normalmente ci si riferisce alla problematica dello svolgimento di mansioni superiori per il quale, come è noto, vige una disciplina speciale del tutto diversificata da quella del codice civile, contenuta nell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001. Meno frequente è l’occasione di trattare il tema delle mansioni inferiori rispetto alle quali, nel silenzio del citato art. 52, si applica invece la medesima normativa civilistica ex art. 2103 che, peraltro, è stato recentemente modificata in modo decisamente innovativo nel nuovo sesto comma da parte di uno dei decreti delegati del Jobs Act (art. 3 del d.lgs. n. 81/2015).
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