Non esiste alcun privilegio nei confronti del lavoratore chiamato a svolgere cariche elettive o sindacali, né l’appartenenza ad un movimento politico può essere chiamato a supporto per una discriminazione in caso di sanzioni disciplinari, qualora non assistita da fatti concreti. In altri termini un eventuale licenziamento disciplinare, nei confronti di un dipendente che abbia, in diverse e multiple occasioni, violato il rispetto del proprio orario di lavoro (presenza mediamente di sole tre ore al giorno), non lo pone a riparo da sanzioni espulsive, in caso di violazione di comportamenti validi per la genericità degli altri dipendenti, per il solo fatto di esercitare funzioni pubbliche elettive, né tale sanzione disciplinare può essere considerata in violazione dell’art.51 Costituzione, articolo questo che pone il lavoratore, chiamato a svolgere funzioni pubbliche elettive o a cariche sindacali, nella condizione migliore per svolgere l’incarico, senza però collocarlo in una situazione di privilegio rispetto a quella degli altri dipendenti dello stesso datare di lavoro, avendo tale garanzia il solo scopo di escludere che l’accettazione del mandato comporti di per sé la perdita del posto di lavoro. Anzi, nel caso concreto sottoposto ad esame non si controverte circa la mancanza di permessi per l’espletamento della carica elettiva o il diritto di chiedere l’aspettativa o in ordine ad un licenziamento intimato per il solo fatto dell’accettazione della carica elettiva, ma la permanenza del sinallagma funzionale del rapporto di lavoro fra le parti conferma che il dipendente ne conservava tutti gli obblighi, compreso quello del rispetto dell’orario di lavoro, sanzionabile in via disciplinare.
Tali sono le conclusioni contenute in un recente arresto della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 26/05/2016 n.10950.
Il Commento – Nessun privilegio per il lavoratore chiamato a svolgere cariche elettive o sindacali
Non esiste alcun privilegio nei confronti del lavoratore chiamato a svolgere cariche elettive o sindacali, né l’appartenenza ad un movimento politico può essere chiamato a supporto per una discriminazione in caso di sanzioni disciplinari, qualora non assistita da fatti concreti.
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