Il diritto allo studio dei dipendenti degli enti locali

Il diritto allo studio dei dipendenti pubblici e, in particolare per quanto di nostro specifico interesse, dei dipendenti degli enti locali, diritto è disciplinato dall’art. 45 del vigente CCNL

14 Novembre 2022
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L’acquisizione di nuova conoscenza da parte dei dipendenti pubblici è stata oggetto – da un anno a questa parte – di grande attenzione da parte dello Stato, che ha attivato diverse iniziative, dirette ed indirette, per incentivare un forte arricchimento ed aggiornamento di sapere del proprio capitale umano, nella consapevolezza che la qualità delle persone rappresenta uno degli asset più importanti per il rinnovamento del settore pubblico.

In questo contesto favorevole all’apertura di nuovi orizzonti conoscitivi, si inserisce il diritto allo studio dei dipendenti pubblici e, in particolare per quanto di nostro specifico interesse, dei dipendenti degli enti locali, diritto disciplinato dall’art. 45 del vigente CCNL e, senza sostanziali modifiche, dall’art. 46 dell’ipotesi di CCNL 2019_2021 in corso di sottoscrizione.

Gli articoli della Costituzione

Nel nostro Paese, il diritto allo studio è un diritto soggettivo della persona che trova, in primis, il suo fondamento negli articoli 33 e 34 della Costituzione della Repubblica Italiana, nei quali si afferma il diritto dei capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi economici, di raggiungere i gradi più alti degli studi nonché il dovere della Repubblica a rendere effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze da attribuire mediante concorso.

L’art. 10 dello Statuto dei lavoratori (Legge n. 300/1970), in attuazione del dettato costituzionale, ha sancito un diritto di tutti i lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami; gli stessi lavoratori non possono essere obbligati né a prestazioni di lavoro straordinario né al lavoro nei giorni festivi o di riposo settimanali. Inoltre, sulla base della medesima norma, tali lavoratori studenti, compresi quelli universitari, hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti per sostenere prove di esame.

Considerata l’ampia formulazione, tale disposizione di legge si applica a tutti i lavoratori studenti (ossia che portino avanti un percorso di formazione parallelamente all’attività e alla prestazione lavorativa) che si trovino a frequentare la tipologia di corsi di cui sopra, sia che abbiano un rapporto con l’ente a tempo determinato che un rapporto a tempo indeterminato.

Ma come viene recepito il diritto allo studio nel contratto nazionale di lavoro dei dipendenti del comparto Funzioni Locali? Come si concretizza il suo esercizio da parte dello studente lavoratore?

Ripercorriamo sinteticamente la disciplina, in modo da rendere tempestivamente disponibili per l’anno 2023 le informazioni utili ai dipendenti interessati.

Innanzitutto, il diritto allo studio riguarda i dipendenti che intraprendono non qualunque tipologia di corso, ma soltanto i “corsi destinati al conseguimento di titoli di studio universitari, post universitari, di scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute, o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali o attestati professionali riconosciuti dall’ordinamento.”

Il diritto allo studio in base alla tipologia di contratto

Se il lavoratore studente ha con l’ente un rapporto di lavoro a tempo determinato di durata inferiore a sei mesi continuativi, lo stesso avrà diritto soltanto alle agevolazioni riguardanti l’orario di lavoro ordinario e straordinario di cui al citato art. 10, nonché ai permessi giornalieri retribuiti per sostenere le prove di esame (ossia 8 giorni all’anno di permesso retribuito).

Se, invece, il lavoratore studente ha con l’ente un rapporto di lavoro a tempo indeterminato o determinato di durata pari o superiore a sei mesi continuativi, lo stesso avrà diritto, oltre che alle agevolazioni previste dall’art. 10 dello Statuto dei lavoratori, anche a permessi retribuiti nella misura massima individuale di 150 ore per ciascun anno solare (e non scolastico) e nel limite massimo, arrotondato all’unità superiore, del 3% del personale in servizio a tempo indeterminato presso ciascuna amministrazione all’inizio di ogni anno. Nel caso di rapporto di lavoro a tempo determinato, la misura massima di 150 ore annue deve essere riproporzionata alla durata temporale nell’anno solare di riferimento del contratto di lavoro stipulato. Nel caso di part-time orizzontale, verticale o misto, le ore di permesso studio fruibili sono soggette a riproporzionamento con le stesse modalità previste per tutti i permessi orari.

Quanto al trattamento economico e previdenziale, i permessi sono retribuiti, non danno diritto ai compensi legati all’effettività della prestazione, non riducono le ferie e sono valutati agli effetti dell’anzianità di servizio; sono coperti da contribuzione a fini previdenziali.

I permessi studio possono essere fruiti anche durante il periodo di prova (vedi parere Aran CFL154)

Qualora il lavoratore sia iscritto ad un corso universitario con lo specifico status di studente a tempo parziale, i permessi per motivi di studio sono concessi in misura ridotta, in proporzione al rapporto tra la durata ordinaria del corso di laurea rispetto a quella stabilita per il medesimo corso per lo studente a tempo parziale.

Le ore di permesso studio possono essere utilizzate tanto per la partecipazione ai corsi quanto per sostenere i relativi esami; possono essere utilizzate anche per l’eventuale tirocinio obbligatorio per il conseguimento del titolo di studio, nonché  per corsi con frequenza serale ove ci sia coincidenza tra orario delle lezioni e orario di lavoro.

Le ore di permesso studio comprendono anche il tempo necessario per raggiungere la sede di svolgimento dei corsi e per l’eventuale rientro in ufficio; analogamente, può essere ricompreso nel permesso anche il tempo intercorrente tra un’ora di lezione e l’altra.

A proposito della partecipazione ai corsi, è importante ricordare che, secondo gli orientamenti espressi dall’Aran e dalla Funzione Pubblica con parere n. 79983 del 14.12.2020, la fruizione dei permessi studio da parte del dipendente che risulti regolarmente iscritto ad un corso di studi universitario o post-universitario in e-learning può ammettersi “nel caso in cui il dipendente fosse in grado di presentare comunque tutta la documentazione prescritta per la generalità dei lavoratori per i corsi di studio non telematici ed in particolare un certificato dell’università che, con conseguente e piena assunzione di responsabilità, attesti in quali giorni quel determinato dipendente ha seguito personalmente, effettivamente e direttamente le lezioni trasmesse in via telematica, ovviamente, in orari necessariamente coincidenti con le ordinarie prestazioni lavorative … in particolare, dovrebbe essere certificato che solo in quel determinato orario il dipendente poteva e può seguire le lezioni.” Come precisato dal parere Aran CFC57b.

Ciò vale per la frequenza di lezioni e-learning rese sia da università telematiche sia da università non telematiche ma che hanno approntato anche una peculiare didattica a distanza (ad es. modalità e-learning, live streaming, webinar, ecc.). In tutti questi casi, il lavoratore dovrà presentare una certificazione dell’Università che attesti l’avvenuto collegamento durante l’orario di lavoro, la frequenza della lezione a distanza e il fatto che soltanto in quel determinato orario il dipendente poteva seguire le lezioni.

L’ipotesi di CCNL 2019-2021 ha recepito espressamente la possibilità di utilizzare i permessi studio anche per i corsi svolti in modalità telematica (art. 46, comma 4).

La contrattazione collettiva determina anche l’ordine di priorità per la concessione dei permessi nel caso in cui il numero delle richieste di fruizione superi il limite massimo del 3% previsto dalla norma e sia, pertanto, necessario approvare una graduatoria dei richiedenti. L’ordine di priorità è il seguente:

a) dipendenti che frequentino l’ultimo anno del corso di studi e, se studenti universitari o post-universitari, abbiano superato gli esami previsti dai programmi relativi agli anni precedenti;

b) dipendenti che frequentino per la prima volta gli anni di corso precedenti l’ultimo e successivamente quelli che, nell’ordine, frequentino, sempre per la prima volta, gli anni ancora precedenti escluso il primo, ferma restando, per gli studenti universitari e post-universitari, la condizione di cui alla lettera a);

c) dipendenti ammessi a frequentare le attività didattiche, che non si trovino nelle condizioni di cui alle lettere a) e b).

Nell’ambito di ciascuna delle fattispecie a), b), e c), la precedenza è accordata, nell’ordine, ai dipendenti che frequentino corsi di studio della scuola media inferiore, della scuola media superiore, universitari o post-universitari.

Qualora a seguito dell’applicazione dei criteri di cui sopra sussista ancora parità di condizioni, sono ammessi al beneficio i dipendenti che non abbiano mai usufruito dei permessi relativi al diritto allo studio per lo stesso corso e, in caso di ulteriore parità, secondo l’ordine decrescente di età.

 

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