Qualche sacrificio sullo stipendio, in cambio del fatto che il posto è sicuro e non è soggetto alle incognite che la crisi moltiplica nel mondo privato. Il presupposto della “cura Brunetta” sul pubblico impiego, che dal 2010 si è visto congelare rinnovi contrattuali e trattamenti economici individuali, suonava così, ma oggi ha bisogno di un aggiornamento. Sulla sicurezza assoluta del posto pubblico non è più il caso di scommettere, soprattutto dopo che la parola «esuberi» ha fatto il suo ingresso ufficiale anche in questo campo con il decreto di luglio sulla revisione di spesa. A dominare il dibattito fino a oggi sono stati i 6mila dipendenti “di troppo” individuati nella pubblica amministrazione centrale (ma nel conto mancano ancora tre ministeri del calibro di Interni, Esteri e Giustizia). Attenzione: non è certo il caso di parlare di licenziamenti, perché lo “scivolo” della mobilità biennale di stile greco all’80% dello stipendio tabellare (e dunque al 50-70% della busta paga reale, a seconda delle carriere di ciascuno, perché cadono integralmente le indennità di posizione, di risultato e così via) scatterà solo come extrema ratio: prima di tutto ogni amministrazione dovrà individuare chi raggiunge i requisiti previdenziali pre-Fornero entro il 2014, e di conseguenza potrà andare in pensione con le vecchie regole grazie alla corsia ad hoc pensata per i dipendenti pubblici. Per tutti gli altri, si apre una prospettiva più complicata che può passare per lo spostamento in un altro ufficio (ma dopo le compensazioni già effettuate fra i ministeri per dimezzare la cifra iniziale di 12mila esuberi non sarà semplice trovarlo), la collocazione in part time o, appunto, lo scivolo biennale. Il contingente dei 6mila esuberi statali è provvisorio, anche perché vanno ancora definite le conseguenze dell’accorpamento di Inps e Inail, e potrebbe essere solo il primo di una serie. Dal 1 gennaio prossimo le stesse norme si estenderanno nel campo della pubblica amministrazione locale, che sarà passata anch’essa al setaccio in cerca di eventuali “eccedenze”. Gli organici di Comuni e Province saranno divisi in classi, a seconda della fascia demografica di appartenenza dell’ente, e a guidare le scelte in ogni fascia sarà il rapporto fra numero di dipendenti e popolazione amministrata. Chi si troverà a superare del 20% la media registrata negli enti italiani della sua stessa dimensione dovrà bloccare ogni tipo di assunzione, come accade oggi ai pochi Comuni che dedicano al personale più del 50% della spesa corrente. Ma gli enti che risulteranno ancor più fuori linea, superando del 40% la media di dipendenti in rapporto alla popolazione, dovranno attivare esattamente gli stessi meccanismi che in questa fase hanno impegnato le Pubbliche amministrazioni statali: pensionamento con le vecchie regole quando possibile, altrimenti trasferimenti, part time o mobilità biennale all’80% dello stipendio tabellare. Senza contare la rivoluzione in arrivo nella geografia delle Province, che secondo le prime stime potrebbe far emergere 12mila esuberi negli organici attuali di questi enti. La misura, quindi, fa un passo in più rispetto agli ordinamenti attuali, che hanno fatto leggermente diminuire il complesso della spesa di personale degli enti locali grazie al blocco degli stipendi e ai vincoli al turn over, e vuole concentrarsi sulle amministrazioni fuori linea, nell’ottica di una revisione di spesa che però dovrà tener conto anche dell’assetto dei servizi e del tasso di esternalizzazioni presente in ogni Comune. Proprio le società partecipate rappresentano l’ultima frontiera delle norme sui tagli di personale, e anch’esse verranno pienamente coinvolte nella giostra delle razionalizzazioni a partire dal prossimo anno. Su due fronti. Al centro dell’attenzione ci sono prima di tutto le società strumentali, intendendosi per tali quelle che svolgono oltre il 90% della propria attività con la pubblica amministrazione che le controlla: per loro, dal 1 gennaio prossimo scatta l’estensione delle stesse norme che bloccano assunzioni e stipendi nell’ente locale che le controlla, ma il 2013 sarà un anno difficile anche per altri motivi. Entro giugno, infatti, la maggior parte di queste società andrà ceduta sul mercato, e quando la cessione non riuscirà bisognerà passare alla liquidazione entro fine anno: nel primo caso, il timore dei dipendenti per il proprio posto di lavoro è attenuato dal fatto che le offerte d’acquisto saranno valutate anche in base alla tutela dei livelli occupazionali, mentre nel secondo caso la prospettiva si fa incerta. Non esiste una stima precisa di questo mondo, che tuttavia comprende almeno 400-500 realtà con 20-30mila
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