Il procedimento di autorizzazione e le sanzioni in caso di violazione delle norme

Il soggetto pubblico o privato che intende conferire l’incarico deve chiedere l’autorizzazione all’Amministrazione di appartenenza del dipendente

25 Ottobre 2023
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a) L’autorizzazione e gli obblighi connessi
Prima di entrare nel merito del procedimento autorizzatorio, vediamo le disposizioni di cui al citato art. 53:

– comma 7 (doveri del dipendente pubblico):
“I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. […] In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.”;

– comma 8 (doveri delle Pubbliche Amministrazioni conferenti l’incarico):
Le pubbliche amministrazioni non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Salve le più gravi sanzioni, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento; il relativo provvedimento è nullo di diritto. In tal caso l’importo previsto come corrispettivo dell’incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell’amministrazione conferente, è trasferito all’amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.”;

– comma 9 (doveri degli enti pubblici economici o privati conferenti l’incarico):
Gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. In caso di inosservanza si applica la disposizione dell’articolo 6, comma 1, del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive modificazioni ed integrazioni. All’accertamento delle violazioni e all’irrogazione delle sanzioni provvede il Ministero delle finanze, avvalendosi della Guardia di finanza, secondo le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni ed integrazioni. Le somme riscosse sono acquisite alle entrate del Ministero delle finanze.

Il soggetto pubblico o privato che intende conferire l’incarico deve, quindi, chiedere l’autorizzazione all’Amministrazione di appartenenza del dipendente, che deve pronunciarsi entro 30 giorni dal ricevimento della richiesta.  Decorso il termine per provvedere, l’autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata; in ogni altro caso, si intende definitivamente negata.
Il comma 10 dell’art. 53 prevede che  l’autorizzazione possa essere richiesta anche dallo stesso dipendente; nel qual caso si suggerisce allegare alla medesima la richiesta del soggetto esterno.
Per il personale che presta comunque servizio presso amministrazioni pubbliche diverse da quelle di appartenenza, l’autorizzazione è subordinata all’intesa tra le due amministrazioni. In tal caso il termine per provvedere è per l’amministrazione di appartenenza di 45 giorni e si prescinde dall’intesa se l’amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio non si pronunzia entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta di intesa da parte dell’amministrazione di appartenenza (vedi Consiglio di Stato – sentenza n. 3521/2021).
Il dipendente che intende svolgere l’incarico deve dichiarare, sotto la propria responsabilità, ai sensi del d.P.R. 445/2000:
– l’oggetto della prestazione;
– il soggetto per il quale sarà svolta la prestazione;
– la data di inizio e data di fine della prestazione (durata presunta della stessa);
– il compenso previsto;
– che l’incarico verrà svolto al di fuori dell’orario di lavoro e senza utilizzare mezzi, locali e quant’altro di proprietà dell’ente;
– l’assenza di conflitto di interessi, anche potenziale, con la propria posizione;
– che l’incarico ha carattere di transitorietà e saltuarietà;
– di impegnarsi a comunicare qualsiasi variazione intervenuta negli elementi dell’incarico.
La disciplina di dettaglio della procedura autorizzatoria deve essere, comunque, definita nei regolamenti degli enti. Di norma, la gestione della procedura  fa capo alla struttura competente nelle Risorse Umane, che richiede il nulla-osta del dirigente/responsabile di riferimento che deve attestare l’assenza di conflitto di interessi, anche potenziali, la compatibilità della prestazione extra lavorativa con i compiti d’ufficio e l’esclusione dell’oggetto dell’incarico tra i compiti e i doveri d’ufficio.
Recentemente, la giurisprudenza contabile (vedi Corte dei Conti, sezione giurisdizionale Umbria, sentenza n. 60/2022) non ha ritenuto valida l’autorizzazione allo svolgimento di attività extraistituzionale rilasciata al dipendente pubblico con la formula di un mero “visto si autorizza” (sulla richiesta), “in quanto priva di motivazione relativa al giudizio di compatibilità in concreto e della valutazione dell’attività da svolgersi nonché del raffronto con il quadro normativo applicabile oltre alla mancanza di accertamento della compatibilità con i doveri e le mansioni d’ufficio.” Del conseguente danno erariale sono stati ritenuti responsabili in solido il dipendente che ha svolto illegittimamente le attività extraistituzionali ed il dirigente/funzionario che ha prodotto un’autorizzazione siffatta e non idonea allo scopo.
Il procedimento si conclude con gli obblighi di comunicazione dell’incarico, così sintetizzabili:
1) Le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti, comunicano, in via telematica, nel termine di 15 giorni, al DFP (perlapa.gov.it) gli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi, con l’indicazione dell’oggetto dell’incarico e del compenso lordo, ove previsto (comma 12, art. 53).
2) Entro 15 giorni dall’erogazione del compenso, il soggetto pubblico o privato conferente l’incarico comunica all’amministrazione di appartenenza l’ammontare del compenso erogato al dipendente (comma 11, art. 53).
3) L’amministrazione di appartenenza, a sua volta, è tenuta a comunicare, tempestivamente, al DFP, in via telematica, per ciascun incarico conferito o autorizzato ai propri dipendenti, i compensi da essa erogati o della cui erogazione abbia avuto comunicazione da parte dei soggetti conferenti (comma 13, art. 53).
Dall’omissione degli adempimenti sopra citati deriva l’impossibilità di conferire nuovi incarichi fino a quando non venga adempiuto agli stessi.
L’ARAN ha messo a disposizione una pagina con le FAQ (inserito collegamento ipertestuale) per le risposte più frequenti ai chiarimenti sugli incarichi da pubblicare.

b) Le sanzioni in caso di mancanza di autorizzazione
In caso di svolgimento dell’incarico in difetto di autorizzazione, la normativa prevede conseguenze negative sia per il dipendente che per il soggetto conferente.
Se il dipendente pubblico svolge incarichi non autorizzati, fatta salva la responsabilità disciplinare, è tenuto a versare il compenso dovuto, per le prestazioni eventualmente svolte, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti (comma 7).
Se il soggetto conferente l’incarico senza autorizzazione è una pubblica amministrazione di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, le conseguenze sono le seguenti (comma 8, art. 53):
– responsabilità disciplinare del responsabile del procedimento che non ha verificato la sussistenza dell’autorizzazione;
–  provvedimento di conferimento nullo di diritto;
– se il dipendente non è ancora stato pagato, trasferimento del compenso all’amministrazione di appartenenza del dipendente pubblico incaricato in assenza di autorizzazione per essere riversati ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.
Se il soggetto conferente l’incarico senza autorizzazione è un ente pubblico economico o un privato, si applica una sanzione pecuniaria  pari al doppio degli emolumenti corrisposti al dipendente pubblico; all’accertamento di tali violazioni provvede il MEF con acquisizione delle somme alle entrate del MEF (comma 9, art. 53).

c) Le sanzioni in caso di violazione dell’incompatibilità assoluta
Innanzitutto, l’art. 63 del d.P.R. n. 3/1957 prevede la decadenza dall’impiego, se il dipendente diffidato dalla propria amministrazione, non cessa la situazione di incompatibilità decorsi 15 giorni dalla diffida. Resta in ogni caso ferma l’eventuale azione disciplinare.

In caso di violazione del divieto di incompatibilità assoluta (ossia di esercizio di attività vietate per le quali è impossibile rimuovere il divieto attraverso la concessione dell’autorizzazione), esistono due orientamenti della giurisprudenza contabile in merito alla quantificazione della sanzione:
1) applicazione in via analogica dell’articolo 53, comma 7, quindi obbligo di riversamento del dipendente di quanto percepito dal terzo per l’espletamento dell’incarico non autorizzato;
2) sulla base della disciplina di cui all’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3/1957, richiamato dall’articolo 53, comma 1, del TUPI, il danno erariale sarebbe costituito dalla retribuzione del pubblico dipendente o da parte della stessa, in quanto «La violazione del sinallagma contrattuale, quale clausola insita nel rapporto di pubblico impiego a tempo pieno, che non consente attività professionale extra istituzionale non occasionale e quindi continuativa e assolutamente incompatibile, comporta che l’Amministrazione ha retribuito invano con il trattamento stipendiale, inteso in senso onnicomprensivo, quella parte di energie lavorative che il dipendente ha profuso per altra attività continuativa. Danno certo, per la cui quantificazione non può che procedersi al ricorso ad un criterio eminentemente equitativo.» (Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la regione Lazio, n. 175/2023). Il Collegio ha posto in evidenza la differenze tra attività astrattamente autorizzabili, ma non autorizzate per le quali il legislatore ha previsto la “sanzione” nell’art. 53, comma 7, del d.lgs. 165/2001 (riversamento all’ente dei compensi percepiti) ed attività assolutamente incompatibili con il pubblico impiego che ledono il sinallagma contrattuale e per le quali di danno patrimoniale può essere determinato solo in via equitativa.
Nel caso di attività assolutamente incompatibili, inoltre, il danno deve essere provato  (vedi Corte dei conti di appello della Sicilia, sentenza n. 33/2022): il primo giudice contabile aveva condannato in via equitativa il dipendente nominato amministratore di una società privata, calcolando il danno erariale nella metà della retribuzione che avrebbe percepito se in part-time non superiore al 50%. Tale condanna è stata riformata dalla Corte dei conti di appello della Sicilia, assolvendo il dipendente infedele, per non aver dimostrato la Procura la riduzione delle proprie attività d’istituto.

Leggi sulla medesima questione:

Parte 1: “Le fonti di regolazione della materia e la giurisdizione”
Parte 2: “I tre pilastri concettuali del documento della Funzione pubblica”

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