Il tetto delle assenze per malattia – Il Commento di C. Dell’Erba

Alcune delle principali indicazioni che si possono trarre dalla giurisprudenza più recente della Cassazione e dalle indicazioni dell’Aran sulla sommatoria dei periodi di assenza per malattia ordinaria e professionali ai fini del calcolo del periodo di comporto e concordanza sul divieto di considerare in tale periodo i periodi di aspettativa; licenziamento a seguito della maturazione del comporto assimilabile a quello per giustificati motivi oggettivi; diritto del dipendente a percepire comunque la indennità di preavviso in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto

20 Giugno 2016
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di C. Dell’Erba (ilpersonale.go-vip.net 20/6/2016)

Contrasti tra Aran e Cassazione sulla sommatoria dei periodi di assenza per malattia ordinaria e professionali ai fini del calcolo del periodo di comporto e concordanza invece sul divieto di considerare in tale periodo i periodi di aspettativa. Licenziamento a seguito della maturazione del comporto assimilabile a quello per giustificati motivi oggettivi. Diritto del dipendente a percepire comunque la indennità di preavviso in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto. Sono queste alcune delle principali indicazioni che si possono trarre dalla giurisprudenza più recente della Cassazione e dalle indicazioni dell’Aran.

LE MALATTIE PROFESSIONALI
La sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 5527 del 21 marzo 2016 ha stabilito che, ai fini del calcolo del periodo di comporto, vanno incluse anche le assenze per malattia professionale. Si deve pervenire a questa conclusione perché le norme contrattuali non fanno “menzione di distinti periodi di comporto”, limitandosi per questo tipo di assenze “a richiamare il periodo di conservazione del posto previsto per le assenze per malattia”. Di conseguenza, “le due disposizioni fanno riferimento entrambe, ai fini dell’integrazione del limite massimo del periodo di comporto al tetto complessivo dei 36 mesi di assenza, oltre il quale sorge per il datore di lavoro la facoltà di risoluzione del rapporto, D’altra parte, una difforme interpretazioni, che consentisse il raddoppio fino al raggiungimento dei limite dei sei anni per le due ipotesi di assenza sarebbe incongrua, anche in ragione della durata eccessiva del periodo di assenza complessivamente consentito, che finirebbe per snaturare la stessa funzione della previsione attinente al comporto”.
In altra direzione va l’Aran. Con il parere Ral 1546: essa ribadisce che i dipendenti hanno diritto in caso di malattie professionali “alla conservazione del posto fino alla guarigione clinica e, comunque, non oltre il periodo previsto dall’art. 21, commi 1 e 2.. Pertanto, il periodo di comporto per le assenze dovute ad infortunio è un unico periodo di 36 mesi, durante il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto e alla retribuzione in misura intera”. Ed ancora, “in occasione di ogni assenza per malattia riconducibile a causa di servizio, quindi, l’Ente deve: fare il calcolo a ritroso del triennio di riferimento partendo dall’ultimo evento morboso; fare la sommatoria di tutti i giorni di assenza ai sensi dell’art. 22 del CCNL del 6.7.1995, compresa quella in corso comunicata dal dipendente; verificare il rispetto del periodo di conservazione del posto previsto dall’art. 21, commi 1 e 2, del CCNL del 6.7.1995”.Aggiunge il parere che “il particolare beneficio del trattamento economico per intero, sulla base dell’art. 22 del CCNL del 6.7.1995, può essere riconosciuto solo in caso di assenza del dipendente riconducibile, con certezza, ad infortunio sul lavoro o a malattia riconosciuta dipendente da causa di servizio; per le assenze connesse a malattia ordinaria, in materia di trattamento economico, troveranno applicazione le regole contenute nell’art. 21, comma 7, del CCNL del 6.7.1995, che prevedono un sistema di progressiva riduzione della retribuzione del dipendente man mano che aumenta il numero delle assenze per malattia, nell’ambito del periodo massimo di conservazione del posto a tal fine previsto (18 mesi, ai sensi dell’art. 21, comma 2)”.

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