La malattia “facile” non consente il licenziamento per scarso rendimento del dipendente

L’assenza per malattia alla luce della recente giurisprudenza e dei nuovi contratti del pubblico impiego

19 Dicembre 2018
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I recenti contratti siglati la primavera scorsa, hanno confermato la normativa precedente, la quale già prevedeva che il dipendente non in prova, assente per malattia, ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi. Superato detto periodo, al dipendente che ne faccia richiesta, può essere concesso di assentarsi per un ulteriore periodo di 18 mesi in casi particolarmente gravi.
Superati i periodi di conservazione del posto, nel caso che il dipendente sia riconosciuto idoneo a proficuo lavoro, ma non allo svolgimento delle mansioni del proprio profilo professionale, l’ente procede secondo quanto previsto dal d.P.R. n. 171/2011. Ove il dipendente sia dichiarato permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, l’Ente può risolvere il rapporto di lavoro, previa comunicazione all’interessato, entro 30 giorni dal ricevimento del verbale di accertamento medico, corrispondendo, se dovuta, l’indennità di preavviso.

Il contratto è quindi molto chiaro: solamente il superamento del periodo di comporto, consente il licenziamento del dipendente. La contraria opinione (che sembra condivisa in un passaggio della motivazione della pronuncia della Suprema Corte n. 18678/2014), secondo cui sarebbe legittimo il licenziamento intimato per scarso rendimento dovuto essenzialmente all’elevato numero di assenze ma non tali da esaurire il periodo di comporto, si pone oggi in contrasto con la consolidata e costante giurisprudenza di legittimità, cui va data continuità…

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