Il Dl atteso tra martedì e mercoledì in Cdm dovrebbe portare da 86 a 51-52 le Province nelle Regioni ordinarie. Decisiva sarà la scelta su Biella-Vercelli e Verbano Cusio Ossola in Piemonte. Possibili deroghe per Belluno e Sondrio 10 Città metropolitane Sostituiranno le Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria ma potrebbero essere aperte alle realtà limitrofi ROMA Al Governo Monti piacciono i “cronoprogrammi”. A quello generale sullo stato di attuazione delle riforme varate dal salva-Italia a oggi se ne sta per aggiungere uno specifico sul riordino delle Province. Gli enti di area vasta con meno di 350mila abitanti e un territorio inferiore ai 2.500 chilometri quadrati non scompariranno nel 2013, magari per lasciare il posto a un commissario, ma sopravvivranno fino al 2014. Quando vedranno la luce le 10 città metropolitane che dovranno sostituire altrettanti capoluoghi. È uno degli elementi (forse il più importante) emersi ieri durante l’incontro al Viminale tra i ministri Annamaria Cancellieri (Interno) e Filippo Patroni Griffi (Pubblica amministrazione) e i vertici dell’Upi. E che dovrebbe essere messo nero su bianco nel decreto legge atteso in Consiglio dei ministri tra martedì e mercoledì. Il Dl in corso di elaborazione servirà a chiudere la fase uno dell’operazione-Province, quella avviata con l’articolo 17 della manovra di Natale del 2011, che ha eliminato le giunte e trasformato i consigli in organi di secondo livello, e proseguita dalla spending review, che ha delegato le autonomie a presentare le proposte di riordino lasciando l’ultima parola all’Esecutivo. Inoltre avvierà la fase due, che consisterà in una tabella di marcia con i passaggi necessari a unificare le Province che si accorpano. L’intero processo sarà gestito dagli amministratori in carica ma, in caso di mancato rispetto delle scadenze, interverrà Palazzo Chigi con una sorta di potere sostitutivo. L’obiettivo è fare del 2014 l’anno zero della nuova mappa provinciale. Che dovrebbe essere composta da 51 o 52 enti nelle regioni ordinarie al posto delle 86 odierne. Per le speciali poi si vedrà, tranne la Sardegna che ha già deciso di scendere da 8 a 4. Come anticipato giovedì su questo giornale ci si dovrebbe assestare su 41 o 42 “enti di mezzo” la discriminante è il Piemonte dove Biella-Vercelli e Verbano Cusio Ossola Novara potrebbero essere fuse in un’unica entità più le 10 città metropolitane in arrivo (Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria). Ma il numero definitivo lo fisserà il Cdm. A cui spetterà il compito di sciogliere alcuni nodi. A cominciare da Arezzo che secondo l’Istat non ha i 350mila abitanti richiesti dalla delibera del Governo di luglio ma in base alle anagrafi comunali sì. E proseguendo con Belluno e Sondrio e la possibile deroga ad hoc sulla montagnosità invocata dal Parlamento ai tempi della spending ma già rispedita al mittente dall’Esecutivo. Niente eccezioni invece per le tre Regioni destinate a diventare monoprovincia: Umbria, Molise e Basilicata. Rinviando al testo definitivo la risposta agli altri quesiti aperti dall’unificazione dei bilanci ai trasferimenti del personale alla sorte di mobili e immobili il confronto di ieri è servito, da un lato, a Patroni Griffi e Cancellieri per garantire qualche margine di flessibilità in più sul territorio delle future città metropolitane. Che potrebbero non essere più perfettamente coincidenti con le 10 province di cui prenderanno il posto ma essere aperte dall’adesione di quelle limitrofe. E qui la mente va a Bat (Barletta-Andria-Trani) che non sarebbe più costretta a confluire dentro Foggia ma si annetterebbe a Bari. E, dall’altro, è stato utile al presidente dell’Upi, Giuseppe Castiglione, per sottolineare che «resta il gravissimo problema delle risorse perché il riordino con questi tagli al bilancio non si può fare». Un punto di vista che i ministri presenti si sono impegnati a inoltrare al premier Monti.
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