Licenziamento disciplinare per alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza

La Corte di Cassazione (Sez. Lavoro) mediante sentenza n. 3055/2022 ha ritenuto il caso di specie rientrare nella ipotesi di falsa attestazione di presenza in servizio, con conseguente legittimità del licenziamento disciplinare: il caso della falsa timbratura da parte del dipendente statale

14 Febbraio 2022
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La Suprema Corte di Cassazione (Sez. Civile, Lavoro) con la sentenza n. 3055/2022 ha ritenuto che rientri nella ipotesi di falsa attestazione di presenza in servizio, prevista dall’art. 55-quater, comma 1, lettera a, del d.lgs. 165/2001, con conseguente legittimità del licenziamento disciplinare, il caso in cui un dipendente pubblico abbia timbrato in entrata e in uscita in orario non lavorati, ma che, in realtà, non fosse presente sul luogo di lavoro.

Il caso

È stata comminata la sanzione massima del licenziamento per aver falsamente attestato la presenza in servizio di un dipendente pubblico
La sanzione è frutto di pregressi procedimenti disciplinari a carico del dipendente e deriva all’applicazione dell’articolo 55-quater, comma 1, lettera a), del d.lgs. 165/2001, il quale prevede la sanzione disciplinare del licenziamento nel caso di “falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l‘alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia”.
Il dipendente ricorrente ha chiarito che l’ente non potesse contestare una falsa attestazione di presenza in ufficio, dal momento che le timbrature erano avvenute al di fuori dell’orario di lavoro.

La decisione

La Suprema Corte relativamente al comma 1-bis nell’articolo 55-quater del d.lgs. 165/2001 chiarisce il concetto di “falsa attestazione dì presenza”, con cui si fa riferimento all’alterazione/manomissione del sistema automatico di rilevazione delle presenze, oltre che alla mancata registrazione delle uscite.
La Corte di Cassazione ha dichiarato, pertanto, il ricorso inammissibile promosso dal dipendente e lo condanna al pagamento delle spese di lite.

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