Interessante arresto della Suprema Corte di Cassazione, estensibile anche ai rapporti di lavoro degli enti locali, sulla proporzionalità del licenziamento per giusta causa, in presenza della condotta di un impiegato che abbia eseguito le direttive del responsabile dell’ufficio in violazione dei propri doveri di ufficio, i quali richiedevano al prestatore di lavoro di usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta. In altri termini, l’impiegato che esegua prestazioni di lavoro, ben sapendo che le stesse siano orientate ad arrecare pregiudizio al datore di lavoro, senza l’osservanza del prescritto obbligo di fedeltà, con grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e con modalità tali da porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento da parte della dipendente, giustificano il licenziamento per giusta causa, a nulla rilevando la conformità alle direttive ricevute dal proprio superiore gerarchico. Tali sono le conclusioni a cui è pervenuta la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n.13149 del 24/06/2016.
LE CONCLUSIONI DELLA CORTE TERRITORIALE
I giudici della Corte di Appello avevano dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa di una dipendente, disponendo la sua reintegra e il risarcimento del danno quantificato il cinque mensilità.
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Il procedimento disciplinare nel pubblico impiego
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Il volume risulta importante sia per il datore di lavoro, che deve applicare le sanzioni, sia per il dipendente che si trova coinvolto in un procedimento disciplinare, al fine di impostare correttamente la propria difesa.
Il lavoro prende in considerazione anche le ultime novità in materia di whistleblowers e delle azioni del Governo assunte per contrastare il fenomeno del c.d. “furbetto del cartellino”.
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