Il primo punto è quello dell’invocato principio del «tempus regit actum» (delibera 46/2013). Alcuni si chiedevano se il regime delle incompatibilità si riferisse solo agli incarichi conferiti dopo l’entrata in vigore del decreto (4 maggio 2013). La risposta dell’Autorità è stata negativa, visto che all’articolo 9, comma 1 e all’articolo 12, comma 1 si parla di assunzione e mantenimento dell’incarico e, all’articolo 15, comma 1, si precisa che il responsabile dell’anticorruzione deve contestare l’esistenza o l’insorgenza di incompatibilità. Anche per gli incarichi in essere, quindi, andrà verificata la rispondenza al decreto.
Il secondo è il tema della conciliabilità tra articolo 4 del Dl 95/2012 e Dlgs 39/2013 (delibera 47/2013). In merito Civit accoglie l’interpretazione secondo cui inconferibilità e incompatibilità si applicano solo a presidente con deleghe di gestione diretta e di amministratore delegato (si veda Il Sole 24 Ore del 20 maggio 2013) e conferma quindi la possibilità di indicare come consiglieri senza deleghe dirigenti e dipendenti dell’ente controllante, purché non rientrino tra quanti (articolo 9, comma 1) non abbiano incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati. La conferma che per «incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti privati in controllo pubblico» si debbano intendere solo quelli di presidente con deleghe di gestione diretta e di amministratore delegato risolve per altro molteplici questioni.
Terzo nodo è la possibilità di riconfermare nel ruolo di presidente e di ad di una società i medesimi soggetti. Il dubbio nasce dall’articolo 7 del Dlgs 39/2013. Secondo Civit (delibera 48/2013) la riconferma è autorizzata sia per la lettera sia per la ratio della norma, che mira a contenere la migrazione da un incarico all’altro e non la permanenza nello stesso ruolo.
Risolte queste questioni, ne restano però altre che dovrà affrontare, e con urgenza, il legislatore. La prima è l’evidente ed immotivata disparità di trattamento tra ex parlamentari ed ex consiglieri regionali e comunali: i primi non ricadono in quasi nessuna incompatibilità mentre chi fa politica sul territorio viene trattato come un untore.
Occorre poi rimediare a quello che, almeno per quanto riguarda le società pubbliche, è il vizio fondamentale del Dlgs 39/2013, cioè l’equiparazione degli amministratori di azienda ai politici e non ai dirigenti. La scelta è irragionevole, soprattutto se si pensa alla frequenza di situazioni di regime in house, e crea enormi problemi operativi. I punti da affrontare sono dunque la compatibilità tra amministratore delegato e direttore generale e, all’interno dei gruppi aziendali, la rimozione del divieto di conferire, nelle partecipate di secondo livello, deleghe di gestione diretta a dirigenti ed amministratori della capogruppo. Infine, perché a chi è stato amministratore con deleghe di una società deve essere vietato di essere nominato in una società diversa?
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