Disciplinato da una normativa contenuta nell’art. 18 della l. n. 81/2017 – teso a tutelare il lavoro autonomo non imprenditoriale e ad introdurre maggiore flessibilità sui tempi e luoghi di esercizio del lavoro subordinato ̶ il lavoro agile presuppone l’esercizio di una maggiore autonomia da parte del lavoratore, ma lo responsabilizza in ordine all’ottenimento di una serie di risultati. La sua applicazione comporta, oltre ad un accordo scritto fra datore di lavoro e dipendente, una revisione della cultura organizzativa tradizionale, una più ampia flessibilità in ordine agli spazi ed ai tempi di lavoro, ma anche un minimo di dotazioni strumentali che devono essere assicurate al lavoratore e di garanzie affinché non vengano ad essere ridimensionati i suoi diritti.
Smart working: le esperienze nel settore pubblico
In Italia lo smart working ha trovato applicazione principalmente in grandi aziende, ma non mancano esperienze interessanti anche nel settore pubblico. Ricordiamo quelle delle Regioni Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Lazio, della Città di Torino, della Provincia autonoma di Trento, del Comune e della Città metropolitana di Bologna, della Camera di commercio di Milano Monza Brianza e Lodi. Non riscontriamo però solamente enti di grande dimensione: in provincia di Ravenna è stato applicato già da alcuni anni nella Camera di commercio e recentemente anche il Comune di Cervia ha avviato una sperimentazione. Vi è poi l’Unione delle Valli e delle Dolomiti friulane che si è attivata per utilizzare questa formula.
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