Applicare a tutti i dirigenti pubblici lo stesso trattamento economico del presidente della Cassazione si sta rivelando un’impresa più ardua del previsto. Alla reticenza dei diretti interessati nel dichiarare in maniera esaustiva stipendi e incarichi si sommano i contrasti che da giorni vanno in scena alla Camera sul Dpcm del governo che fissa in 294mila euro la retribuzione massima dei grand commis statali. Divergenze che ieri hanno raggiunto l’apice. Con una bozza pomeridiana molto stringente nei confronti dell’esecutivo che, su input dei vertici di Pd e Pdl, a sera si è ammorbidita parecchio. Specie sui due punti più delicati: applicabilità ai contratti in corso e figure esentate.
La parola fine verrà messa solo oggi quando le commissioni Affari costituzionali e Lavoro dei due rami del Parlamento daranno il loro via libera al decreto che attua la stretta contenuta nell’articolo 23-ter della manovra di Natale. Sia a Palazzo Madama che a Montecitorio il sì appare scontato; la differenza la faranno le «osservazioni» che deputati e senatori stanno mettendo a punto e che – seppure non vincolanti visto che l’esecutivo potrà discostarsene in sede di approvazione definitiva del Dpcm – rappresentano comunque un “giudizio” sulle scelte governative.
Al Senato l’ok si annuncia scontato mentre alla Camera la situazione appare più delicata, come dimostrano le vicende delle ultime ore. In una bozza depositata ieri pomeriggio, i relatori Donato Bruno (Pdl) e Silvano Moffa (Pt), pur esprimendo parere favorevole sul testo, auspicano un «intervento correttivo» delle norme sul tetto retributivo, per «evitare ingiustificate disparità di trattamento». Sostenendo, tra le altre cose, che il taglio degli stipendi non si può applicare ai contratti in corso e non vale per regioni, asl e authority.
Di diverso avviso il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi. Pur dichiarando di volere prima leggere il parere, il titolare di Palazzo Vidoni giudica però «immediatamente applicabili» le limitazioni ai compensi nelle Pa centrali. Parole a cui seguono i distinguo di parecchi esponenti della maggioranza con tanto di accuse di «inciucio» a Pd e Pdl da parte dell’Udc.
In serata il presidente dei deputati pidiellini Fabrizio Cicchitto interviene per fare chiarezza: il partito, spiega, è al lavoro per dare «indicazioni precise» all’esecutivo. E si arriva così a una bozza alternativa messa a punto dall’ex ministro Renato Brunetta e da Gianclaudio Bressa (Pd) con l’obiettivo di modificare quella giudicata «inaccettabile» dei relatori. Tra le novità contenute al suo interno spicca l’ok all’applicazione del tetto anche ai contratti in corso, laddove sulle esenzioni si propone al governo di modificare non il Dpcm ma direttamente la norma del Dl 201 che fissa l’asticella allo stesso livello del primo presidente della Cassazione. Più nel dettaglio si chiede di presentare un emendamento al Dl semplificazioni, ora all’esame di Montecitorio, perché il tetto si applichi a tutte le Pa, comprese le authority, e diventi una direttiva a cui anche le regioni devono uniformarsi.
Proposte di cui i relatori terranno conto nella formulazione del parere definitivo. Come conferma lo stesso Donato Bruno che al Sole 24 Ore spiega: «Il tetto sarà subito applicabile e, se vogliono fare delle deroghe, le facesse il governo».
Eugenio Bruno
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