Il nuovo cantiere delle pensioni resterà aperto fino alla stesura della Legge di Bilancio. Anche perchè la Lega, e non solo, punta a correggere, magari in extremis, la rotta per il dopo Quota 100 tracciata ieri dal ministro dell’Economia, Daniele Franco, prima e durante il Consiglio dei ministri che ha approvato il Documento programmatico di bilancio. Una rotta, contrastata dai ministri del Carroccio, che passa per una transizione rapida di due anni offrendo nel solo 2022 la possibilità di uscita con 64 anni d’età e 38 anni di contribuzione ai lavoratori in parte o totalmente “retributivi”. Si tratta di una sorta di Quota 102 di fatto – visto che per i soggetti interamente contributivi (chi ha cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995) è già previsto un canale di pensionamento anticipato con 64 anni – che nel 2023 si trasformerebbe in Quota 104 per soli 12 mesi prima di rientrare nel 2024 in toto nel solco della riforma Fornero e di alcuni dei provvedimenti varati precedentemente. Il pacchetto ipotizzato ieri prevede anche la proroga dell’Ape sociale e dovrebbe contare su non più di un miliardo per il prossimo anno, al netto del possibile recupero di eventuali risparmi di spesa da altre misure previdenziali, come ad esempio i finanziamenti fin qui rimasti inutilizzati proprio per l’Anticipo pensionistico.
E nel Dpb, anche per il pressing della Lega, a meno di ripensamenti dell’ultima ora dovrebbe essere riportato soltanto il valore, in decimali di Pil, dell’intervento sulla previdenza senza dettagliarlo, lasciando alla prosecuzione del confronto nel governo il compito di individuare possibili aggiustamenti al piano di via XX settembre. Come previsto, sul capitolo pensioni si è subito alzata la tensione politica. Il Carroccio, che non ha mai fatto mistero di preferire Quota 41 (uscita al quarantunesimo anno d’età a prescindere dall’anzianità contributiva) o una proroga di un anno di Quota 100, ha immediatamente espresso le sue riserve politiche e tecniche. Già nella riunione mattutina della cabina di regia il ministro Giancarlo Giorgetti avrebbe proposto di limitare Quota 102 ai soli dipendenti pubblici prevedendo un sistema di uscite maggiormente flessibile per il settore privato. Nel pomeriggio poi i ministri leghisti hanno preso le distanze dal pacchetto previdenziale proposto da Franco, e condiviso dal premier. A questo punto in Consiglio dei ministri si è deciso di proseguire la discussione nei prossimi giorni e si è così aperta la strada a un’approvazione all’unanimità del Dpb. Nel comunicato di palazzo Chigi si conferma che ci saranno interventi sulle pensioni «per assicurare il graduale ed equilibrato passaggio verso il regime ordinario».
La presentazione della Legge di Bilancio è destinata a slittare alla prossima settimana e, pertanto, la Lega avrà a disposizione almeno altri 6-7 giorni di tempo per convincere delle sue ragioni Palazzo Chigi e il Mef. Anche se il Carroccio un primo risultato lo ha già incassato evitando il ritorno immediato al regime della legge Fornero. E Giorgetti ha tenuto a sottolinearlo: «Sulle pensioni ci sono diverse ipotesi in ballo, ma questa sera nessuna decisione su Quota 100 è stata presa. Escludo qualsiasi ritorno alla legge Fornero», ha detto il ministro in sintonia con le dichiarazioni di Matteo Salvini. Tra le opzioni sul tavolo per modificare il pacchetto-Franco ci sarebbero deroghe a Quota 102 e Quota 104 per i lavoratori “precoci” per quelli impegnati in attività usuranti. Anche il Pd spera in alcuni correttivi, come una flessibilità garantita per i lavoratori con mansioni gravose e la proroga di Opzione donna. Ma il Mef non sembra intenzionato ad arretrare più di tanto. L’ipotesi del pensionamento con 64 anni d’età e 38 di contributi era da tempo allo studio a via XX settembre. E, come anticipato dal Sole 24 Ore, a giugno era stata suggerita anche dalla Corte dei conti rimarcando la necessità di prevedere per i lavoratori retributivi una via d’uscita parallela a quella già aperta dalla “Fornero” per i soggetti interamente contributivi con la possibilità di uscita appunto con un minimo di 64 anni e 20 di versamenti sempreché il trattamento risulti d’importo pari a 2,8 volte l’assegno sociale. Una proposta analoga era stata anche inserita tra le opzioni caldeggiate dalla commissione tecnica sulla previdenza istituita tre anni fa dall’allora ministro Nunzia Catalfo.
Secondo alcune stime tecniche anche di fonte sindacale, Quota 102 potrebbe complessivamente interessare non più di 50mila lavoratori perché a questa misura continuerebbero a non accedere i lavoratori rimasti esclusi per età da Quota 100 (62 anni la soglia anagrafica e 38 anni quella dei versamenti): a beneficiarne sarebbe quindi chi non ha potuto utilizzare l’intervento simbolo del “Conte 1” perchè non in possesso dell’anzianità contributiva necessaria. Ancora più ristretta si presenta la platea di Quota 104, che dovrebbe scattare con pensionamenti con almeno 66 anni d’età e 38 di contributi, anche se non è escluso un meccanismo variabile per i due requisiti. Tutte opzioni che non soddisfano i sindacati che chiedono al governo un incontro urgente.
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