La questione della monetizzazione delle ferie non godute nel pubblico impiego costituisce un tema di rilevante interesse giuridico, caratterizzato da un delicato bilanciamento tra il diritto del lavoratore alla fruizione effettiva delle ferie e il principio, sancito dall’ordinamento nazionale e sovranazionale, secondo cui tale diritto non può tradursi automaticamente in un beneficio di natura economica in assenza di un impedimento oggettivo alla fruizione. La sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia n. 19 del 2025 affronta con puntualità tale problematica, soffermandosi sul ruolo degli obblighi informativi a carico del datore di lavoro.
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Indice
Svolgimento del processo e questioni giuridiche sottese
La fattispecie in esame prende avvio dal ricorso presentato da un militare in congedo della Guardia di Finanza, il quale ha impugnato dinanzi al TAR Friuli Venezia Giulia il provvedimento con cui l’Amministrazione aveva parzialmente rigettato la sua richiesta di monetizzazione delle ferie maturate e non godute.
Dall’istruttoria emerge che il ricorrente si era assentato dal servizio in modo continuativo dal 29 luglio 2021 al 28 aprile 2022, periodo in cui aveva fruito dapprima di una licenza straordinaria di convalescenza (dal 29 luglio 2021 all’11 settembre 2021), per poi essere collocato in aspettativa per infermità fino alla cessazione definitiva dal servizio, avvenuta il 29 aprile 2022. Nel momento in cui veniva posto in aspettativa, il ricorrente aveva già maturato 18 giorni di licenza ordinaria relativi all’anno 2020 e 30 giorni relativi all’anno 2021, senza tuttavia averne fruito. Il ricorrente censurava il diniego parziale evidenziando la violazione di norme nazionali e sovranazionali in materia di ferie non fruite, nonché un evidente eccesso di potere da parte dell’Amministrazione per carenza di istruttoria e motivazione.
L’oggetto del giudizio si focalizza sull’interpretazione del combinato disposto dell’art. 905, co. 2, del D. lgs. n. 66/2010 e dell’art. 5, co. 8, del D. l. n. 95/2012, norme che sanciscono l’obbligatorietà della fruizione delle ferie e, in linea di principio, escludono la possibilità di una loro monetizzazione, salvo specifiche eccezioni. A parere dell’Amministrazione resistente, il diniego sarebbe giustificato dal mancato esercizio consapevole, da parte del ricorrente, del diritto alla fruizione delle ferie prima del collocamento in aspettativa per infermità, condizione ritenuta imprescindibile per il riconoscimento dell’indennità sostitutiva. L’Amministrazione, in sostanza, ha ritenuto che la mancata presentazione di una richiesta di fruizione delle ferie prima del collocamento in aspettativa per infermità fosse ostativa alla successiva monetizzazione delle stesse.
A fondamento del ricorso, il ricorrente eccepiva:
-la violazione di legge, per contrasto con la normativa nazionale ed eurounitaria (Direttiva 2003/88/CE, art. 7, e Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE, art. 31, paragrafo 2);
-l’eccesso di potere, per carenza di istruttoria e difetto di motivazione, in quanto l’Amministrazione non avrebbe adeguatamente valutato le circostanze oggettive che hanno impedito al ricorrente di godere delle ferie prima dell’aspettativa;
-la violazione dei principi espressi dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa C-218/22.
Normativa di riferimento e orientamenti giurisprudenziali
La questione della monetizzazione delle ferie non godute nel pubblico impiego è disciplinata da un complesso quadro normativo.
L’art. 5, co. 8, del D. l. n. 95/2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 135 del 2012, stabilisce che: “le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale […] sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi”. Tale disposizione mira a garantire che il diritto alle ferie sia esercitato effettivamente, evitando la prassi della monetizzazione, salvo specifiche eccezioni previste dalla legge. Inoltre, l’art. 905, co. 2, del D. lgs. n. 66/2010prevede che: “prima del collocamento in aspettativa per infermità, sono concessi i periodi di licenza non ancora fruiti”. Pertanto, l’Amministrazione deve consentire al dipendente la fruizione delle ferie maturate prima dell’eventuale collocamento in aspettativa, al fine di evitare l’accumulo di periodi di riposo non goduti.
A livello europeo, l’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE sancisce il diritto di ogni lavoratore a “ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane”, precisando che “il diritto alle ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di cessazione del rapporto di lavoro”. Tale disposizione è volta a garantire il riposo effettivo del lavoratore, riconoscendo tuttavia la possibilità di una compensazione economica qualora la fruizione delle ferie non sia più possibile a causa della cessazione del rapporto di lavoro.
La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, all’art. 31, paragrafo 2, ribadisce che: “ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri e settimanali, nonché a ferie annuali retribuite”. Siffatto principio rimarca l’importanza del diritto al riposo quale elemento essenziale della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
È opportuno richiamare anche il parete dell’ARAN del 9 febbraio 2024, che ha ribadito come il CCNL del 16 ottobre 2008 confermi il principio di irrinunciabilità delle ferie (Cfr. parere ARAN del 9.02.2024 e art. 28 CCNL del 16.10.2008)
La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ulteriormente chiarito l’interpretazione di tali disposizioni. Nella causa C-218/22, la Corte ha affermato che “il diritto dell’Unione osta a una normativa nazionale che preveda il mancato riconoscimento dell’indennizzo per le ferie di cui il lavoratore non abbia potuto usufruire per causa al medesimo non imputabile prima della data della cessazione del rapporto”. In altre parole, se il lavoratore non ha potuto fruire delle ferie per motivi indipendenti dalla sua volontà, egli ha diritto a un’indennità compensativa al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Similmente la sentenza C-684/16, ha stabilito che il datore di lavoro non può sottrarre automaticamente al lavoratore il diritto alle ferie senza aver prima dimostrato di aver fatto tutto il possibile affinché il dipendente fosse effettivamente in condizione di fruirne.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 95/2016, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, co. 8, del D. l. n. 95/2012, nella parte in cui non prevede che, in caso di mancata fruizione delle ferie per esigenze di servizio o per cause imputabili all’amministrazione, al lavoratore spetti la corresponsione di un’indennità sostitutiva. La Corte ha sottolineato che “il diritto alle ferie annuali retribuite costituisce un principio fondamentale, strettamente connesso alla tutela della salute del lavoratore, e che la sua effettività deve essere garantita anche mediante la corresponsione di un’indennità sostitutiva, qualora la fruizione delle ferie non sia stata possibile per cause non imputabili al lavoratore”. In particolare, la Consulta ha evidenziato che il divieto di monetizzazione non opera nei casi in cui il mancato godimento delle ferie sia imputabile a cause non dipendenti dalla volontà del lavoratore, come malattia o altre situazioni che impediscono la fruizione del riposo annuale.
Infine, per quanto riguarda la natura dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute, la giurisprudenza ha espresso orientamenti differenziati. Parte della giurisprudenza attribuisce a tale indennità una natura retributiva, sostenendo che essa costituisca una componente della retribuzione spettante al lavoratore per il periodo di lavoro svolto senza usufruire del riposo annuale (Cass. Civ., Sez. Lavoro, Ord. n. 9009 del 2024). In tal senso, si è affermato che il termine di prescrizione dell’indennità sia quinquennale. Altra parte della giurisprudenza, invece, propende per una qualificazione risarcitoria dell’indennità, ritenendo che essa miri a compensare il pregiudizio subito dal lavoratore per la mancata fruizione delle ferie; secondo tale orientamento, il termine di prescrizione applicabile sarebbe decennale. Una recente pronuncia della Corte di Cassazione ha attribuito all’indennità una natura mista, sostenendo che il termine di prescrizione sia decennale (Cass. Civ., Sez. Lavoro, sent. n. 1450 del 21 gennaio 2025).
La sentenza in esame si inserisce in tale sfaccettato quadro normativo e giurisprudenziale che converge nel riconoscere la centralità del diritto alle ferie annuali retribuite e nell’affermare che la loro mancata fruizione, quando non imputabile al lavoratore e in assenza di una corretta informazione da parte dell’amministrazione, dà luogo al diritto a un’indennità sostitutiva.
Le argomentazioni del TAR
Il TAR Friuli Venezia Giulia ha sviluppato un percorso argomentativo che ha posto al centro della pronuncia la questione della corretta informazione e sollecitazione del dipendente pubblico in merito alla fruizione delle ferie. Il Collegio ha ritenuto che il mancato godimento delle ferie non possa determinare automaticamente la loro perdita senza una previa ed effettiva messa in condizione del lavoratore di fruirne, secondo il principio di effettività delineato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. L’amministrazione resistente, come visto in punto di fatto, sosteneva che la mancata fruizione delle ferie fosse imputabile al ricorrente, il quale non avrebbe avanzato una richiesta di godimento prima di essere collocato in aspettativa per infermità.
Tuttavia, il TAR ha ritenuto assorbente la doglianza del ricorrente relativa alla mancata precisa e trasparente informazione da parte dell’Amministrazione circa le conseguenze della mancata richiesta di fruizione delle ferie maturate prima del collocamento in aspettativa per infermità, alla luce dell’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia dell’UE nella causa C-218/22. Tale pronuncia ha affermato che il diritto alle ferie annuali retribuite non può estinguersi alla fine del periodo di riferimento e non può essere negata la monetizzazione in assenza di un’effettiva possibilità per il lavoratore di godere di tali giorni. La Corte ha anche chiarito che grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver “assicurato concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore fosse in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite”, informandolo chiaramente e per tempo circa il rischio di perdita del diritto e che “se questi non dimostra di aver posto il lavoratore nella condizione di godere delle ferie, la perdita del diritto è illegittima” (Corte di Giustizia UE, C-684/16).
Il TAR ha richiamato anche la recente giurisprudenza amministrativa nazionale, la quale si è conformata a tali principi europei. Il Tribunale ha fatto riferimento alla pronuncia del TAR Lombardia n. 2872/2024 e TAR Sicilia, Palermo, n. 1625/2024 e 1756/2024, le quali hanno affermato che la perdita delle ferie non può avvenire automaticamente senza che il lavoratore sia stato preventivamente informato e messo nella condizione di esercitare il proprio diritto.
Applicando tali principi al caso di specie, il TAR ha evidenziato che l’Amministrazione resistente non aveva fornito elementi concreti da cui desumere che il ricorrente fosse stato effettivamente informato in modo chiaro ed esaustivo circa le conseguenze della mancata fruizione delle ferie. Non risultava, infatti, alcuna comunicazione formale da parte dell’amministrazione che avesse messo il dipendente nella condizione di scegliere consapevolmente tra la fruizione e la rinuncia delle ferie. Per tale ragione, il diniego di monetizzazione si poneva in contrasto con il diritto e la giurisprudenza europea, la quale stabilisce che il lavoratore sia effettivamente messo in condizione di esercitare il diritto al riposo.
Il TAR Friuli Venezia Giulia ha, quindi, accolto il ricorso, annullando il provvedimento impugnato e accertando il diritto del ricorrente alla monetizzazione delle ferie maturate e non godute. Nella parte dispositiva, il Collegio ha ordinato all’amministrazione di corrispondere l’indennità sostitutiva per i giorni di ferie non riconosciuti, con gli interessi legali dalla data della domanda al saldo. Tuttavia, ha escluso la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta, in conformità ai principi affermati da TAR Lombardia n. 2872/2024.
Conclusioni
La sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia n. 19/2025 si inserisce in un filone giurisprudenziale che mira a garantire l’effettività del diritto alle ferie retribuite nel pubblico impiego, affrontando il delicato equilibrio tra l’interesse della pubblica amministrazione alla corretta organizzazione del servizio e il diritto del lavoratore a non vedersi privato della fruizione o della monetizzazione delle ferie per circostanze a lui non imputabili.
L’elemento dirimente della decisione è costituito dall’enfasi posta dal Collegio sull’onere della pubblica amministrazione di fornire al dipendente una chiara ed esaustiva informazione circa le conseguenze del mancato godimento delle ferie. Tale obbligo, come ribadito dalla CGUE, costituisce un presupposto imprescindibile affinché l’eventuale mancata fruizione possa essere ritenuta imputabile al lavoratore. La decisione si pone, dunque, in continuità con la giurisprudenza che ha progressivamente affermato la necessità di tutelare il diritto alle ferie annuali retribuite, impedendone l’automatica estinzione senza un’effettiva possibilità di esercizio.
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