Il taglio del 10% delle piante organiche di tutto il settore statale e del 20% delle aree dirigenziali (un milione e 850mila dipendenti circa) destinato a replicarsi quasi immediatamente anche al settore non statale (un altro milione e 556mila dipendenti di Regioni, enti locali, enti pubblici non economici e università). È confermato l’intervento più importante per il pubblico impiego, dopo una giornata di rumors che ieri riferivano di un possibile slittamento alla «fase due» dell’operazione spending, quella con le misure ordinamentali su Province, unione di comuni e città metropolitane. I tagli arrivano e, come ha ribadito il ministro della Pa e la Semplificazione, Filippo Patroni Griffi, saranno selettivi e con possibilità di compensazioni tra diverse amministrazioni, nel senso che le soglie del 10 e del 20% potranno essere inferiori laddove le piante organiche sono riempite dal personale in servizio, come nel caso degli enti previdenziali, a patto che altre amministrazioni siano disposte ad alzare l’asticella. Solo dopo la riduzione degli organici e l’esito del monitoraggio assegnato al Dipartimento Funzione pubblica si saprà quanto personale in servizio e in quali amministrazioni sarà toccato dall’intervento. Per questi dipendenti (o dirigenti) si applicherà la procedura di «messa a disposizione» con mobilità di 24 mesi e un’indennità che equivale all’80% del reddito, mobilità che potrà essere estesa a 48 mesi per accompagnare alla pensione coloro che che matureranno i requisiti per la pensione che erano previsti prima dell’entrata in vigore della riforma Fornero. Mentre per il personale docente delle scuole dell’obbligo e delle secondarie è poi confermato che, chi risultasse in esubero dopo le procedure di mobilità potrà essere assegnato a classi di concorso o gradi d’istruzione diversi da quelle d’appartenenza, a posti di sostegno oppure a spezzoni di ore o supplenze che dovessero spuntare nel corso dell’anno scolastico. Patroni Griffi ha assicurato che gli effetti del taglio sugli organici sarà strutturale e comporterà «da una parte, una diminuzione della spesa e, dall’altra, consentirà nuove assunzioni mirate sui giovani e per le carriere direttive». Nel testo circolato ieri il «pacchetto pubblico impiego» erano ben poche le novità di rilievo. La più importante, se confermata, è quella che prevede il graduale sblocco del turn over per tutte le amministrazione: dall’attuale 20% di assunzioni possibili rispetto alle uscite che era stato fissato nel 2008, si passerà al 50% nel 2015 e si tornerà al 100% nel 2016. Una cronologia che dovrà essere rispettata anche dalle Camere di Commercio. Tra le misure scomparse c’è invece l’obbligo di apertura degli uffici nei giorni festivi, norma che era associata all’obbligo (che invece rimane) di smaltire le ferie e i permessi senza più ricorrere a forme di monetizzazione dei pregressi. Tra le conferme anche il blocco alle spese per le auto di servizio: non si potrà superare il 50% di quanto speso nel 2011 all’interno del piano di razionalizzazione in corso e che viene monitorato da Funzione Pubblica e FormezPa. Stop anche alle consulenze e alle collaborazioni a personale della Pa andato in pensione mentre resta da capire se ci sarà o meno il giro di vite richiesto dai sindacati sul capitolo più ampio dei contratti esterni e delle consulenze, una voce che assorbirebbe 1,4 miliardi l’anno. L’operazione di riduzione delle dotazioni organiche dovrà essere realizzata con una serie di decreti del Presidente del Consiglio entro il 31 ottobre e perfezionata nei sei mesi successivi. E per la gestione delle operazioni di mobilità del personale in esubero, oltre all’informativa di legge, è pure previsto l’esame congiunto con le organizzazioni sindacali, fermo restando la piena autonomia delle amministrazioni sulle scelte finali.
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