Il presente articolo affronta la questione della reiterazione illegittima di incarichi dirigenziali pubblici a personale interno e la possibilità di ottenere un risarcimento per tale situazione. Secondo la Corte di Cassazione, (Sez. lav.), con l’ ordinanza del 11 aprile 2024, n. 9856 il conferimento di un incarico dirigenziale a termine a dipendenti della stessa Amministrazione non determina la costituzione di un rapporto dirigenziale a termine equiparabile a quello con i soggetti non appartenenti ai ruoli dirigenziali della P.A. Pertanto, non si applica la disciplina nazionale ed eurounitaria sui contratti a termine e non si ravvisa una fattispecie di abusiva reiterazione di contratti a termine.
Il fatto
La questione è stata affrontata dalla Corte di Cassazione in diverse sentenze, con orientamenti giurisprudenziali conformi.
La questione riguarda la possibilità di ottenere un risarcimento per il dipendente che riceve plurimi incarichi dirigenziali nella stessa Amministrazione in un sistema dichiarato illegittimo. Questa reiterazione è determinata dalla necessità di coprire una carenza stabile di personale dirigenziale, anche a causa della mancanza di risorse per coprire le posizioni vacanti a causa del mancato svolgimento delle procedure concorsuali.
La normativa generale sul conferimento di incarichi dirigenziali pubblici è contenuta nell’articolo 19 del Decreto Legislativo n. 165/2001, che tratta anche i casi del conferimento di incarichi a personale dipendente pubblico avente qualifica dirigenziale ma dipendente di Amministrazione diversa da quella che intende attribuire l’incarico, ed a personale dipendente pubblico non avente qualifica dirigenziale.
L’articolo fa un breve accenno all’itinerario storico che ha portato all’introduzione nel sistema giuridico della possibilità di aprire la dirigenza ad esperti esterni ai ruoli dell’amministrazione. L’idea originaria era quella di fornire alla P.A. professionalità altamente specialistiche provenienti dall’esterno, difficilmente reperibili nei quadri della dipendenza pubblica. Questa previsione si caratterizza per l’ampio raggio di azione della ricerca all’esterno e per un elevato grado di discrezionalità nella scelta del soggetto da incaricare.
Nell’attuale ordinamento della dirigenza pubblica, non è consentito attribuire incarichi in base a una scelta fiduciaria insindacabile, ma questi vengono affidati attraverso una procedura selettiva volta ad individuare un soggetto qualificato dal punto di vista professionale e sulla base di una motivazione idonea a giustificare la scelta effettuata. La procedura per il conferimento di un incarico dirigenziale prevede il riscontro delle competenze ed esperienze dei candidati, al fine di fornire all’amministrazione una rosa di candidati qualificati.
La ricerca all’esterno dell’Amministrazione di professionalità cui attribuire incarichi dirigenziali deve seguire alla verifica del possesso dei requisiti richiesti anche tra i funzionari direttivi di categoria D. Tuttavia, secondo la giurisprudenza contabile, l’espressione “non rinvenibile nei ruoli dell’amministrazione” si riferisce solo ai ruoli dirigenziali e non all’organico complessivo. La norma prevede che i soggetti “incaricabili” siano individuati in base al possesso di requisiti sostanziali di professionalità, che includono anche le esperienze professionali maturate nella titolarità di posizioni funzionali che abilitano all’accesso ai ruoli dirigenziali presso le pubbliche amministrazioni.
La casistica
La Sezione Centrale di legittimità su atti del Governo e delle Amministrazioni e dello Stato, durante una riunione congiunta del I ed II Collegio il 25/11/2004, ha discusso la possibilità di ricorrere a professionalità esterne ed interne in base all’art. 19, comma 6. La Sezione ha stabilito che non è conforme al dettato normativo interpretare la norma in modo da limitare l’applicazione solo ai professionisti esterni. Inoltre, l’interprete non può introdurre una tale limitazione se non prevista dal testo normativo.
Tuttavia, l’affidamento di incarichi dirigenziali a dipendenti di ruolo della stessa Amministrazione non comporta la costituzione di un rapporto dirigenziale a termine simile a quello con i soggetti esterni alla P.A. Pertanto, non si applica la disciplina nazionale ed europea sui contratti a termine e non si configura un caso di abusiva reiterazione di contratti a termine.
La Corte Suprema affronta anche la questione del risarcimento, considerando che il Consiglio di Stato, Sezione VII, nella sentenza 7/12/2023 n. 10627, ha riconosciuto la colpa dell’Amministrazione che ha conferito e prorogato/rinnovato numerosi incarichi dirigenziali ai propri funzionari, derogando ai principi dell’art. 97 della Costituzione ed alle regole del D.Lgs. n. 165/2001.
Va ricordato che anche la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 37/2015, ha affermato che le ripetute delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito l’utilizzo di uno strumento pensato per situazioni particolari come metodo ordinario per coprire posizioni dirigenziali vacanti. Ciò ha permesso l’attribuzione di incarichi dirigenziali senza concorso, senza criteri e con un esercizio di discrezionalità che sfugge ai parametri ed ai limiti del giudice amministrativo. Nonostante questa illegittimità amministrativa degli incarichi, la Corte Suprema ha negato l’esistenza di un danno patrimoniale risarcibile a favore dei dipendenti incaricati, poiché per la risarcibilità il danno deve essere allegato e provato.
La decisione
La Corte ha distinto il piano macro-organizzativo, in cui l’Amministrazione è stata contrapposta alle Organizzazioni sindacali, dal piano micro-organizzativo, in cui l’Amministrazione è stata contrapposta al lavoratore che, durante lo svolgimento degli incarichi, ha percepito un trattamento economico paragonabile a quello dirigenziale. Inoltre, la cessazione anticipata degli incarichi illegittimi disposta dall’Amministrazione a seguito della sentenza della Corte Costituzionale non è stata considerata una fonte di danno.
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