«Norme poco applicabili al pubblico impiego»

Parla il giuslavorista Pino Fontana: «Così si rischia l’aumento del contenzioso»

Marcello Serra 24 Marzo 2012
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E difficilmente la riforma del lavoro toccherà gli statali ma rischia di portare ad un aumento del contenzioso e ad un intasamento dei tribunali.
La previsione a caldo, a pochi minuti dalla conclusione del consiglio dei ministri, è di Pino Fontana, presidente dell’Agi, l’Associazione dei giuslavoristi italiani.
Abusi sui licenziamenti per ragioni economiche? «Non credo sia questo l’intendimento delle imprese, tuttavia l’ipotesi è sempre possibile.
Basterebbe allora rinviare i casi di arbitrio alla disciplina prevista per i licenziamenti discriminatori o disciplinari, per disinnescare il problema».
Statali: la riforma li riguarderà o ne sono esclusi? In questi giorni si è fatta un po’ di confusione.
«In linea di massima la modifica all’articolo 18 non si applicherà ai dipendenti pubblici in quanto il pubblico impiego non dovrebbe rispondere a logiche economiche.
Anche se potrebbero intervenire considerazioni diverse, legate alla produttività introdotta con la riforma Brunetta».
Questo pone problemi di incostituzionalità? «Non credo perché anche ora ci sono discipline diverse.
Faccio l’esempio delle organizzazioni di tendenza come partiti o sindacati.
Il legislatore d’altronde può disporre regole diverse purché sulla base di elementi razionali e oggettivi.
Per esempio, il settore della Pubblica amministrazione è più strettamente connesso con esigenze di interesse collettivo rispetto al settore privato».
I licenziamenti individuali per ragioni economiche: non si rischiano abusi da parte delle aziende? «Non credo che il sistema delle imprese sia spinto o sensibilizzato in questa direzione.
Tuttavia il rischio di comportamenti arbitrari c’è, come dimostrano le sentenze che si sono concluse con il reintegro del dipendente.
Credo sia stato giusto porre la questione.
E penso che la scelta di affidare al Parlamento la riforma con un disegno di legge sia saggia e utile per chiarire meglio le nuove regole».
Ma quanti sono i casi di reintegro, in definitiva: tanti? Pochi? «La norma sul reintegro va vista nel contesto degli anni ’70 in cui il rapporto tra datore di lavoro e dipendente era fortemente sbilanciato a favore del primo.
Nel tempo si è affermato un maggior sviluppo e un’etica di impresa oltre a necessità di mercato che oggi portano ad una riforma di carattere epocale.
Certamente il reintegro ha un effetto deterrente forte ma le proposte del governo vanno valutate nel loro complesso: molto positive sono quelle sulla flessibilità in entrata».
Con quali paletti normativi potrebbero disinnescare i potenziali abusi? «L’introduzione di una procedura di conciliazione preventiva e snella può rivelarsi particolarmente utile a tenere sotto controllo il contenzioso.
E resta per il lavoratore la possibilità di dimostrare che il licenziamento è dovuto a motivi disciplinari o discriminatori e non economici, con l’applicazione della relativa disciplina.
Piuttosto a me pare che il rischio sia un altro».
Quale? «Il mio timore è che si apra un enorme contenzioso, con istruttorie complesse e quindi con tempi più lunghi, scaricandosi su tribunali già sovraccarichi».
Il governo ha pensato a una corsia preferenziale.
«E’ opportuna e vedremo cosa stabilirà il testo di legge».
Ci sono altri punti poco chiari? «A quanto sembra la nuova disciplina si applicherà anche ai procedimenti in corso.
Mentre sulle Partite Iva l’automatismo dei 6 mesi potrebbe rivelarsi eccessivo».

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