Il licenziamento per scarso rendimento nella pubblica amministrazione esiste già da molto tempo. Non occorre aspettare che entri in vigore la «riforma Madia» della pubblica amministrazione per introdurlo, né rimandare alla contrattazione nazionale collettiva. È esattamente dalla prima tornata contrattuale successiva alla «privatizzazione» del rapporto di lavoro pubblico (dovuta al dlgs 29/1993, poi trasfuso nel dlgs 165/2001) che il licenziamento con preavviso per scarso rendimento è regolato dai contratti nazionali collettivi. Nel comparto regioni enti locali, fu disciplinato dal Ccnl 6 luglio 1995, all’articolo 25, comma 6, lettera e), nell’ambito del «codice disciplinare» integrato in quel contratto. Oggi, la medesima fattispecie del licenziamento disciplinare con preavviso per scarso rendimento è regolata dal Ccnl 11 aprile 2008, all’articolo 3, comma 7, lettera e), ai sensi del quale costituisce causa di licenziamento la «continuità, nel biennio, dei comportamenti rilevati attestanti il perdurare di una situazione di insufficiente rendimento o fatti, dolosi o colposi, che dimostrino grave incapacità ad adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio». L’insufficiente rendimento è, in ogni caso, fonte dell’applicazione delle sanzioni disciplinari fino alla multa o alla sospensione dal lavoro con privazione della retribuzione, se di minore gravità. Non bastasse la vigenza quasi ventennale della disciplina contrattuale dello scarso rendimento, la riforma Brunetta, il dlgs 150/2009 ha reso anche norma di legge il licenziamento dovuto all’accertamento di insufficiente produttività e capacità del lavoratore pubblico, introducendo nel dlgs 165/2001, l’articolo 55-quater, comma 2. Tale disposizione prevede che «il licenziamento in sede disciplinare è disposto, altresì, nel caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l’amministrazione di appartenenza formula, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, una valutazione di insufficiente rendimento e questo è dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all’articolo 54». È, dunque, da considerare priva di qualsiasi fondamento la teoria, proposta in questi giorni anche dai sindacati, secondo la quale nella pubblica amministrazione non si possa licenziare i dipendenti “fannulloni” e che allo scopo occorra attendere una norma di legge ad hoc, oppure attendere che la norma introdotta dalla riforma Brunetta sia attuata dai contratti collettivi. Si è visto che la contrattazione collettiva vigente prima ancora del dlgs 150/2009 disciplina, e da tempo, il licenziamento per scarso rendimento. Il dlgs 150/2009 ha precisato che esso può essere cagionato in particolare dalla ripetuta insufficiente valutazione, secondo i sistemi previsti dalla normativa vigente. La contrattazione collettiva non è assolutamente condizione per l’applicazione del licenziamento, ma solo una delle fonti dalle quali è possibile ricavare le obbligazioni lavorative violate, poste a fondamento del licenziamento del dipendente. Trattandosi di licenziamento disciplinare, non si vede la ragione per la quale ad esso non dovrebbero applicarsi le modifiche alla disciplina di tutela dai licenziamenti illegittimi, posto che il Jobs Act lascia la reintegra nel posto di lavoro come rimedio proprio ai licenziamenti disciplinari. Non sarebbe comprensibile, del resto, perché per i lavoratori del privato vigerebbe l’inversione dell’onere della prova dell’insussistenza del fatto, mentre per i lavoratori pubblici (se non si applicasse la riforma, come sostengono alcuni) no.
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