Per il prepensionamento degli statali in esubero potrebbero contare i contributi e non l’età. Perché riconoscere la possibilità di derogare per 1-2 anni alla riforma Fornero a chi ha raggiunto 60 anni di età entro fine 2011 (o li raggiungerà entro fine 2012-2013) sarebbe un beneficio troppo «salato» per i conti pubblici in quanto usufruibile da una platea di almeno 250 mila dipendenti pubblici. Il gioco in pratica non varrebbe la candela in quanto l’alleggerimento del costo del personale della p.a. sarebbe vanificato dal peso che una misura del genere avrebbe sul sistema previdenziale. Senza dimenticare che si tratterebbe di assegni calcolati col più generoso metodo retributivo e dunque non molto distanti dagli attuali stipendi pagati. Il discorso sarebbe ben diverso limitando il prepensionamento a chi ha già (o avrà nel prossimo biennio) 40 anni di contributi. In questo caso il cerchio dei beneficiari sarebbe molto più ristretto (circa 4.500 statali secondo la Cisl) ma con esso anche i possibili risparmi per le casse dello stato. Le difficoltà applicative dei tagli al pubblico impiego da inserire nella spending review sono state al centro del vertice di governo che ieri pomeriggio ha visto riuniti a palazzo Chigi il premier Mario Monti e i ministri tecnici più direttamente interessati dalle misure messe a punto dal commissario Enrico Bondi. Stretto tra esigenze di risparmio immediato e interventi che rischiano di non avere l’impatto atteso sui conti pubblici, l’esecutivo sembra essersi infilato in un vicolo cieco. Di qui la necessità di approfondire con attenzione costi e benefici in vista dell’incontro di oggi con le parti sociali e gli enti locali. Oltre al prepensionamento, anche la messa in disponibilità per due anni all’80% della parte fissa dello stipendio (misura prevista dalla legge di stabilità 2012) crea problemi perché presuppone una ricognizione delle piante organiche, al fine di individuare gli esuberi, molto difficile da attuare in tempi brevi. Piero Giarda ed Enrico Bondi insistono sulla necessità di sfoltire gli organici della pubblica amministrazione (riduzione del 20% per i dirigenti, del 10% per quelli di secondo livello e del 5% per gli altri ruoli, coinvolgendo circa 10 mila lavoratori). Ma proprio le difficoltà operative nel ricollocare gli esuberi rafforzano l’ipotesi dei tagli lineari sulle retribuzioni. Una soluzione che avrebbe il pregio di garantire immediatamente gli effetti sperati (tagliando del 5% il costo del personale pubblico, che ammonta a 175 miliardi, se ne recupererebbero subito otto).Un altro nodo che il governo Monti dovrà sciogliere sarà decidere se fare un decreto pesante da 7-8 miliardi (ma la cifra potrebbe arrivare a 10) o un provvedimento più leggero, da 5-6 miliardi, rinviando il resto del pacchetto al prossimo autunno (ossia alla legge di stabilità 2013). Palazzo Chigi e il Mef premono per la prima ipotesi ma le resistenze dei ministeri (in particolare quello della salute) per misure che saranno soprattutto tagli lineari, potrebbe spingere a un intervento in due tempi. Obiettivo principale del decreto resta evitare l’aumento dell’Iva a ottobre, trovare nuovi fondi per i territori colpiti dal terremoto in Emilia-Romagna e finanziare le spese inderogabili, come le missioni internazionali. I pilastri del provvedimento saranno quattro. Una parte delle risorse arriverà dalle misure del commissario straordinario Enrico Bondi, con la razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi. Una sforbiciata che riguarderà in parte la sanità, con tagli da 1-2 miliardi, soprattutto per la riduzione della spesa farmaceutica. Il secondo e terzo pilastro saranno la riduzione delle province e la scure sulle società pubbliche, alleggerendo cda e tagliando enti strumentali, società e consorzi di regioni, province e comuni. L’Upi ne ha contati 3.127 di cui due terzi (1.947) sono società partecipate concentrate soprattutto in Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Toscana e Campania. Il governo sembra intenzionato ad accogliere la richiesta dell’Upi di sfoltire questa pletora di enti come parziale contropartita della razionalizzazione delle province.
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