Se un ente pubblico conferisce legittimamente un incarico a un dipendente statale, è tenuto a comunicare all’amministrazione di appartenenza del citato dipendente, ai sensi dell’art.53, comma 11, del dlgs n. 165/2001, anche l’ammontare dei compensi erogati. In caso di omissione, infatti, scatta la sanzione pari al doppio degli emolumenti percepiti e questo costituisce danno erariale a carico dei vertici dell’ente inadempiente, in quanto indice della negligenza a percepire la sussistenza di un obbligo di legge, previsto in una disposizione di agevolissima interpretazione.
È quanto ha messo nero su bianco la sezione giurisdizionale della Corte dei conti siciliana, nel testo della sentenza n. 3488/2011, con cui ha condannato presidente e direttore generale di un’autorità d’ambito ottimale a rifondere le stesse casse dell’ente, del danno pari alla sanzione pagata per la violazione relativa all’omessa comunicazione dei compensi percepiti da un dipendente pubblico cui era stato conferito un incarico di esperto amministrativo.
La norma sopra richiamata, infatti, prevede che «entro il 30 aprile di ciascun anno, i soggetti pubblici o privati che erogano compensi a dipendenti pubblici per incarichi, sono tenuti a dare comunicazione all’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi dei compensi erogati nell’anno precedente».
Norma, questa, di strettissima e rigorosa interpretazione che prevede un altrettanto rigoroso sistema sanzionatorio in caso di inosservanza. Ne è prova l’articolo 6, comma 1 del dl n. /97 ove si prevede che «nei confronti dei soggetti pubblici che non comunicano l’ammontare degli emolumenti o che si avvalgano di prestazioni di lavoro autonomo o subordinato rese dai dipendenti pubblici senza autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza, oltre alle sanzioni per le eventuali violazioni tributarie o contributive, si applica una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti sotto qualsiasi forma a dipendenti pubblici».
È questo ciò che è avvenuto nella vicenda sottoposta al giudizio della Corte siciliana. Che non ha avuto dubbi nel decidere per la condanna dell’ex presidente e del direttore generale dell’autorità d’ambito. Secondo la Corte, infatti, nel caso di enti collettivi, in mancanza della formalizzazione sulla ripartizione delle competenze, l’obbligo di effettuare una comunicazione è riferibile a quei soggetti che, per l’ufficio ricoperto, hanno il potere di amministrare e rappresentare l’ente. Soggetti che hanno messo in pratica una condotta negligente (quindi con colpa grave, tale da generare l’inutile esborso) in quanto l’adempimento, consistente in un’azione di agevolissima realizzazione, era (ed è) imposto da una norma chiara, inidonea a dar luogo a dubbi interpretativi. Nella norma di legge non è alcun margine di discrezione e la semplicità dell’adempimento richiesto ha indotto la Corte a ritenere che l’omissione della comunicazione «integra un negligente esercizio di compiti istituzionali la cui gravità configura la responsabilità amministrativa».
Ad avviso della Corte, si legge nella sentenza, non può essere ignorato che del danno sono stati chiamati a rispondere due soggetti, professionalmente molto qualificati, che ricoprivano posizioni apicali nell’organigramma aziendale. L’assunzione di tali uffici, nell’ambito di una società di significativa consistenza, è «indice inequivocabile della capacità dei soggetti chiamati a ricoprirli, di percepire la sussistenza di un obbligo di legge, previsto in una disposizione di agevolissima interpretazione e di assumere le conseguenti iniziative per assicurare il rispetto di tale obbligo».
P.a., la negligenza costa
Incarichi al buio, si paga il doppio dei compensi
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