Pa, il governo accelera sui decreti

Madia: avanti speditamente con le norme per ridurre il divario con il privato

Marcello Serra 31 Dicembre 2014
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Sul modello di quanto fatto nel privato con il Jobs act, il governo intende avanzare rapidamente nell’attuazione di nuove regole per la Pa, prima del termine dei 24 mesi. Come ha spiegato ai suoi il ministro della Pa, Marianna Madia, l’intenzione è di procedere speditamente al varo dei decreti attuativi. Pogliotti pagina 5ROMA SullÂ’attuazione di nuove regole nel pubblico, sul modello di quanto fatto con il Jobs act per il privato, il governo intende accelerare i tempi. Nella conferenza stampa di fine anno il premier Renzi ha spiegato di aver rimandato tutta la partita a febbraio, quando entrerà nel vivo al Senato lÂ’esame del Ddl Madia sulla riorganizzazione della Pa che però prevede un arco temporale piuttosto lungo per lÂ’emanazione del Dlgs di riordino della disciplina dei dipendenti pubblici: complessivamente 2 anni. Ma come ha spiegato il ministro della Pa, Marianna Madia, ai suoi collaboratori, quello fissato dal Ddl è un termine massimo, lÂ’intenzione è quella di procedere speditamente al varo dei decreti attuativi, sul modello di quanto si è fatto con il Dlgs sul contratto a tutele crescenti approvato in consiglio dei ministri quasi in contemporanea con il via libera definitivo del Parlamento al Ddl Jobs act. Secondo il timing che si sono dati a Palazzo Vidoni, non appena verrà approvato dal Senato in prima lettura il Ddl Madia, i tecnici inizieranno a lavorare sui decreti attuativi, in attesa delle modifiche che potranno arrivare dalla Camera; si partirà con il Dlgs di riforma della dirigenza pubblica e subito dopo toccherà al decreto sulla disciplina del lavoro dei pubblici dipendenti. LÂ’intenzione del governo è quella di ridurre il divario tra pubblico e privato, in particolare avvicinando la disciplina sui licenziamenti disciplinari dei dipendenti pubblici (per i quali vige ancora lÂ’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, senza le modifiche della legge Fornero) a quella dei lavoratori privati. Nella consapevolezza che non si parte da zero, la legge Brunetta, il Dlgs 150 del 2009, che ha modificato il Dlgs 165 del 2001 (norme generali sullÂ’ordinamento del lavoro nella Pa) prevede la sanzione disciplinare del licenziamento in numerosi casi, come la falsa attestazione della presenza in servizio (con lÂ’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o certificazione medica falsa), lÂ’assenza priva di una valida giustificazione per oltre tre giorni nel biennio, di rifiuto ingiustificato al trasferimento, di falsificazione dei documenti presentati allÂ’instaurazione del rapporto di lavoro, di reiterate e gravi condotte aggressive nellÂ’ambiente di lavoro, di condanna penale definitiva con interdizione perpetua dai pubblici uffici. Tra le fattispecie individuate della legge Brunetta cÂ’è anche quella alla quale ha fatto riferimento il premier Renzi, ovvero lo scarso rendimento «in caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio», che invece non è espressamente previsto nel Jobs act nel privato. Renzi a questo proposito ha spiegato di puntare ad affidare un ruolo maggiore ai giudici. CÂ’è chi vede la possibilità, una volta introdotta questa fattispecie nel pubblico, di estenderla anche al privato. Il punto è che se le norme non mancano, quella che spesso è mancata finora è la volontà di dare applicazione alla disciplina esistente, destinata a restare solo sulla carta. Lo ha ricordato lÂ’autore stesso della riforma, Renato Brunetta (Fi), impegnato da ministro della Pa in una crociata anti fannulloni, che ieri ha attaccato Renzi: «Le norme che invoca il presidente Renzi esistono e lui lo sa perché quando era sindaco cercava di applicarle. Lavori su questo senza perdere tempo in annunci di riforme epocali che peraltro non rispettano i tempi che lui stesso aveva dettato». Tuttavia, resta il fatto che in assenza di modifiche, nel caso che un licenziamento disciplinare venga dichiarato illegittimo da un giudice si avrebbero trattamenti con tutele diverse. Nel pubblico scatterebbe sempre la reintegra, mentre nel privato per i vecchi lavoratori si applicherebbe la legge Fornero (la reintegra è prevista solo se il fatto contestato non sussiste o se nel contratto è punito con sanzioni che non prevedano il licenziamento) o con i nuovi criteri del Jobs act (la reintegra resta solo per insussistenza del fatto materiale contestato, senza alcuna valutazione circa la sproporzione del licenziamento). Questa considerazione spinge il governo a studiare come intervenire. Senza trascurare il fatto che il rinvio della partita sul pubblico impiego a febbraio, consentirà al premier di affrontare lÂ’elezione del Quirinale senza aprire un nuovo terreno di scontro con la sinistra interna al Pd.

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