Niente soldi agli enti di qualsiasi genere partecipati dagli enti pubblici, se non garantiscono la trasparenza.L’articolo 22, comma 4, del dlgs 33/2013 impone alle amministrazioni ed agli enti partecipati di accelerare in modo bruciante nell’applicazione delle disposizioni contenute nell’articolo 22 stesso, pena l’illegittimità di erogazioni finanziarie.Il comma 4 citato dispone che nel caso di mancata o incompleta pubblicazione dei dati relativi agli enti partecipati «è vietata l’erogazione in loro favore di somme a qualsivoglia titolo da parte dell’amministrazione interessata».Poiché nel dlgs 33/2013 non è indicata alcuna disposizione di diritto transitorio, né si prevede per l’adempimento in argomento un termine iniziale, è da ritenere che il divieto posto dall’articolo 22, comma 4, sia immediatamente operante.L’onere di pubblicare i dati ricade in capo alle amministrazioni pubbliche, chiamate a inserire nel sito istituzionale, nell’apposita sotto sezione della sezione amministrazione trasparente: l’elenco degli enti pubblici (comunque denominati, istituiti, vigilati e finanziati dalla amministrazione medesima ovvero per i quali l’amministrazione abbia il potere di nomina degli amministratori dell’ente); l’elenco delle società di cui detiene direttamente quote di partecipazione anche minoritaria indicandone l’entità; l’elenco degli enti di diritto privato, comunque denominati, in controllo dell’amministrazione. Per ciascuno di detti enti, inoltre, occorre elencare le funzioni attribuite e le attività svolte in favore dell’amministrazione o le attività di servizio pubblico affidate.Infine, occorre pubblicare anche una o più rappresentazioni grafiche che evidenziano i rapporti tra l’amministrazione e gli enti partecipati.Come si nota, la norma coinvolge sostanzialmente qualsiasi soggetto partecipato, qualunque ne sia la natura. Si va, infatti, dagli enti pubblici (nel caso degli enti locali l’esempio è un’azienda speciale) alle società, fino a qualsiasi altro soggetto di diritto privato. L’estensione soggettiva della norma è amplissima. Del resto, è lo stesso articolo 22 a precisare che «ai fini delle presenti disposizioni sono enti di diritto privato in controllo pubblico gli enti di diritto privato sottoposti a controllo da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti costituiti o vigilati da pubbliche amministrazioni nei quali siano a queste riconosciuti, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi». Basta, dunque, che lo statuto anche di una fondazione o di un’associazione assegnino all’ente pubblico un potere di nomina o prevedano direttamente che un componente dell’ente partecipante faccia parte degli organi di amministrazione, che scatta l’obbligo di pubblicità fissato dalla norma.Le amministrazioni, dunque, debbono effettuare il più presto possibile una ricognizione accurata di tutti i soggetti ai quali partecipino o rispetto ai quali svolgono funzioni di controllo, nel senso esplicitato dal legislatore.Nessun provvedimento di erogazione di somme di denaro a vantaggio di detti soggetti può legittimamente essere adottato, se sul sito non siano presenti le informazioni previste.È, dunque, compito dell’ufficio istruttore curare di verificare che sul sito siano pubblicati i dati come richiesto dall’articolo 22, per poter adottare il provvedimento. E della pubblicazione è opportuno che si dia espresso riscontro nel provvedimento, anche per permettere agli uffici finanziari di effettuare i necessari controlli. In effetti, la pubblicazione richiesta costituisce, anche se il legislatore non lo ha precisato espressamente, condizione di legalità del pagamento delle erogazioni finanziarie.Poiché dette erogazioni sono vietate «a qualsiasi titolo», se le pubblicazioni non sono rispettate, qualsiasi tipologia di pagamento agli enti è vietato: dal contributo al corrispettivo del contratto di servizio, alla stessa eventuale erogazione di quote associative o di partecipazione.© Riproduzione riservata
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