L’operazione di riduzione del personale della pubblica amministrazione alla fine è andata in porto e resterà forse una delle misure-simbolo del provvedimento approvato ieri dal Consiglio dei ministri. Per capire i suoi effetti concreti occorrerà attenderne l’attuazione, anche se il potenziale esito finale della procedura, due anni a stipendio ridotto come a n t i c a m e r a della fine del rapporto di lavoro, preoccupa non poco gli interessati. Il taglio del 10 per cento degli organici per la generalità dei dipendenti e del 20 per i dirigenti si applicherà ai ministeri ed alle altre amministrazioni centrali dello Stato. Resteranno esclusi il settore della sicurezza, la scuola, i magistrati e il personale giudiziario, e per quanto riguarda gli enti di ricerca tecnologi e ricercatori. Per gli enti locali la riduzione sarà proporzionata al rapporto tra dipendenti e popolazione residente: laddove questo rapporto risulterà superiore alla media nazionale per oltre il 20 per cento scatterà il divieto assoluto di assunzioni, mentre se lo scarto supererà il 40 verranno poste in essere le procedure di riduzione. In ogni caso l’applicazione delle norme sul «collocamento in disponibilità», che sulla carta esistono dal 2001 ma finora di fatto non sono state usate, sarebbe preceduta dall’esplorazione di altre vie, elencate in modo specifico nello stesso decreto legge, per risolvere le situazioni di soprannumero. La prima alternativa è l’accesso alla pensione con le regole precedenti alla riforma Fornero, che permettono un anticipo anche di alcuni anni rispetto ai requisiti in vigore dal 2012. La possibilità riguarderà coloro che a quelle condizioni avrebbero lasciato il servizio entro il dicembre 2014 (quindi avendo maturato i requisiti un anno prima). Per queste persone, se ricadono nella riforma previdenziale, il versamento della liquidazione non sarà però immediato, ma avverrà appunto con i criteri più penalizzanti attualmente in vigore. Successivamente, una volta avviati al pensionamento i dipendenti interessati, le amministrazioni realizzeranno una previsione complessiva delle uscite future, in modo da capire quanti esuberi si potranno riassorbire in due anni. Per coloro che ancora restano in soprannumero, si aprirà a quel punto la strada del ricollocamento presso altri uffici che presentano carenze di organico. Una ulteriore possibilità, in accordo con le organizzazioni sindacali, sarà la definizione di contratti a tempo parziale per il personale in eccedenza: due rapporti di lavoro a metà tempo permetterebbero di assorbire un esubero. Quando saranno state esaurite tutte le procedure scatterà la mobilità vera e propria (il «collocamento in disponibilità» del decreto 165 del 2001), con la riduzione della retribuzione all’80 per cento dello stipendio base per un periodo di due anni. Ma questo arco temporale potrà essere raddoppiato se nel frattempo gli interessati maturano i requisiti per la pensione. Infine ci sarà ancora la possibilità di ricollocarsi chiedendo di passare in uno dei posti vacanti il cui elenco sarà stato redatto dal Dipartimento della Funzione pubblica: l’amministrazione in questione sarà obbligata ad accogliere la domanda. La cessazione del rapporto di lavoro arriverebbe solo al termine di questo processo e dei 24 mesi di mobilità. Per i dipendenti pubblici il decreto porta un’altra novità, anche se non ravvicinata nel tempo: la generalizzazione del meccanismo della valutazione individuale, che finora è stato applicato solo in alcune amministrazioni. Sarà un decreto del presidente del Consiglio dei ministri a stabilire i criteri, tenendo conto dei principi del merito e della distribuzione selettiva dei premi, enunciati nella legge Brunetta del 2009.
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