Dopo le polemiche sul tema dell’applicabilità o meno del rinnovato articolo 18 ai dipendenti di ministeri ed enti locali, ieri il ministro ha chiarito nuovamente con una lettera a un quotidiano i termini della questione: è fuorviante parlare di licenziamenti economici individuali nella Pa perché esiste una disciplina ad hoc per gestire le eventuali eccedenze nelle amministrazioni; una normativa rinnovata con l’ultima legge di stabilità (articolo 16 della legge 183/2011).
L’intervento di Patroni Griffi ha raccolto l’apprezzamento di Cgil, Cisl e Uil e apre la strada a un confronto che si preannuncia costruttivo. Sulle eccedenze di personale è in corso la ricognizione prevista dalla legge e stando alle comunicazioni già arrivate al dipartimento della Funzione pubblica qualche situazione di «soprannumero» in effetti è stata certificata. La procedura prevista per questi casi passa dalla «collocazione in disponibilità» per tentare il trasferimento del personale interessato ad altre amministrazioni, con un trattamento economico pari all’80% dell’ultimo stipendio per due annualità di sospensione dall’impiego. Con i sindacati si discuteranno possibili forme di gestione contrattata di queste eccedenze, anche tenendo conto delle uscite per pensionamento previste nel ciclo del 24 mesi di durata dell’ammortizzatore sociale.
Sugli altri temi della riforma e la loro declinazione nel settore pubblico il «nodo» più rilevante riguarda i contratti a termine. Nella Pa esistono ancora i contratti coordinati e continuativi (i vecchi co.co.co) e il primo obiettivo è superare questa anomalia. Si partirà da una fotografia aggiornata di tutte le tipologie di contratti flessibili esistenti (tra l’altro ci sono i tempi determinati, gli interinali e i contratti di lavoro socialmente utile) con l’obiettivo di tentare una razionalizzazione in linea con la riforma. Per alcune amministrazioni – per esempio i ministeri – l’obiettivo della Funzione pubblica è quello di ridurre al minimo queste forme di flessibilità che, invece, resterebbero insostituibili per la scuola o il settore della ricerca. Un’ipotesi che potrebbe essere messa sul tavolo del confronto è quella di chiudere la stagione dei co.co.co. con una norma di raccordo che vincoli la Pa all’uso dei contratti a progetto nelle forme indicate dalla riforma. Altro fronte di armonizzazione tra pubblico e privato sulla flessibilità in entrata potrebbe essere quello dei concorsi per contratti a tempo determinato, ipotesi già studiata in passato e che ora potrebbe essere resa strutturale per conciliare le regole di accesso con il dettato costituzionale che impone le assunzioni per concorso. Altro strumento su cui i tecnici del ministero hanno appuntato l’attenzione è l’apprendistato: il nuovo testo unico prevede il suo utilizzo nella Pa, si tratta quindi di trovare la via migliore per sperimentarlo magari partendo dalle qualifiche più basse.
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