Poletti rilancia sul lavoro: “Basta precari nella Pa il Jobs act è di sinistra”

Marcello Serra 9 Giugno 2014
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Basta precari nel pubblico impiego. Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, lo dice al termine dell’intervista a Napoli a “Repubblica delle Idee”, nel corso della quale difende le scelte del governo sul lavoro (“serve un cambiamento radicale della cultura del lavoro”), sostiene che è “di sinistrissima” aver riformato i contratti a termine, aggiunge che non ci saranno interventi sull’età pensionabile ma che a parte l’emergenza esodati, qualcosa si farà anche per i lavoratori che, in questa lunga crisi, perdono il posto a un passo dalla pensione. “Tendenzialmente  –  spiega il ministro  –  sono favorevole al fatto che il pubblico impiego non provochi precarietà e precariato. E bisogna farlo il prima possibile. Il processo di riorganizzazione della pubblica amministrazione deve risolvere una parte del fenomeno della precarietà”.

Ma intanto il governo ha avviato la riforma del mercato del lavoro partendo dai contratti a termine e non dal contratto unico a tutele crescenti. Il presidente del Consiglio Renzi ha detto che è di sinistra aver aumentato la tassazione sulle rendite finanziarie e anche aver ridotto l’Irap sulle imprese come il bonus redistributivo di 80 euro. Secondo lei è di sinistra pure aver liberalizzato i contratti a termine?
“Io credo che sia molto di sinistra far lavorare un ragazzo 36 mesi anziché sei mesi. E poiché questo è l’effetto del nostro decreto, ritengo che la riforma dei contratti a termine sia di sinistrissima. I contratti a termine non li ho inventati io: quando siamo arrivati al governo rappresentavano il 68 per cento degli avviamenti al lavoro. Mi pare che la cosiddetta causale che ne avrebbe dovuto limitare il ricorso non ha limitato un bel niente. Noi abbiamo fatto in modo che un’impresa anziché assumere sei ragazzi nell’arco di 36 mesi, ne prenda uno solo per lo stesso periodo. Non abbiamo liberalizzato un bel niente. È una semplificazione, non una liberalizzazione”.

Una critica ricorrente è che abbiate riformato i contratti guardando gli interessi delle imprese e non quelli dei lavoratori. Tanto che la Confindustria apprezza la riforma mentre vi chiede di non introdurre il contratto a tutele progressive. Perché non siete partiti dal contratto unico?
“Se fosse vero non avremmo messo nella legge delega all’esame del Parlamento il contratto a tutele progressive. Confindustria non lo vuole ma noi l’abbiamo messo, fine del dibattito”.

Dunque metterà nel cassetto il recente documento sul mercato del lavoro che le ha consegnato il presidente degli industriali Giorgio Squinzi?
“L’ho letto come ho letto le proposte della Cgil o della Cisl. Si ascolta tutti ma poi si decide. Abbiamo detto alle imprese che ora non hanno più scuse per non assumere: hanno un contratto chiaro, semplice, possono usarlo smettendo di ricorrere ai contratti falsi, alle false partite Iva, ai falsi co. co. pro che sono davvero contratti terrificanti in termini di precarietà e mancanza di tutele”.

E allora perché non li abolite?
“Ci sono le false partite Iva ma ci sono anche milioni di partite Iva vere che invece hanno bisogno di maggiori tutele”.

Avete varato i nuovi contratti a termine mentre il Jobs Act, cioè la legge delega sul lavoro è all’esame del Parlamento. Quando sarà legge operativa e quando ci saranno i decreti attuativi?
“Penso che entro fine anno di possa chiudere questa partita”.

Riaprirete la partita pensioni? Reintrodurrete una forma di flessibilità per l’età pensionabile?
“La priorità assoluta sono gli esodati. Per il resto questo governo non prevede di cambiare l’età pensionabile, rimane quella che è. Poi c’è un tema delicato che dovremo affrontare: quello dei lavoratori intorno ai 60 anni che perdono il lavoro, hanno un paio d’anni di ammortizzatori sociali e poi per un anno o poco più nessun sostegno. Per costoro andrà trovata una soluzione”.

Quale?
“Quando l’avrò, la dirò”.

Per raccontare il declino italiano, il settimanale tedesco Der Spiegel ha fatto, tra gli altri, l’esempio dell’ostilità dei sindacati e della Chiesa al lavoro domenicale. Lei è favorevole o contrario ai turni di domenica?
“Molti italiani già lavora la domenica. Non si capisce perché anche altri non possano farlo. In questo c’è qualcosa che non va. Io in via di principio non sono contrario al lavoro domenicale purché in forme contrattate e riconosciute”.

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