Si chiede:
1. Se è possibile per i dipendenti rinunciare alla pausa (anche pranzo) nel caso del comma 1 per chi ha chiesto o è previsto l’orario continuato con orario di servizio giornaliero di 7,15 ore e rinuncia in luogo dei rientri.
2. Se la formulazione del 3° comma, “diversa e più ampia durata della pausa giornaliera”, consenta, per le fattispecie di cui all’art. 27, comma 4 che venissero individuate, non solo la estensione ma eventualmente, per esigenze del dipendente legate alle particolari situazioni personali, sociali o familiari richiamate dal contratto, la compressione del periodo di almeno 30 minuti di pausa.
3. Più in generale, se sia consentito disciplinare eventuali pause inferiori ai 30 minuti, a fronte di esigenze personali del dipendente non rientranti tra quelle stabilite specificamente dal contratto ed in presenza di particolari condizioni quali, ad esempio, tipologie di orario di lavoro solo di poco superiori alle sei ore ovvero prestazioni di lavoro per le quali le sei ore non siano continuative.
Risposta
La risposta è contenuta nel recente parere (orientamento applicativo) dell’ARAN (CFL14) secondo cui l’art.26 del CCNL del 21 maggio 2018, in coerenza con le previsioni del d.lgs. 66/2003, configura la pausa come obbligatoria in presenza di una prestazione di lavoro giornaliera che ecceda le sei ore, qualunque sia la ragione giustificativa di tale prolungata durata dell’orario di lavoro. Una eventuale e limitata deroga all’obbligo della pausa, sotto il solo profilo della durata, è consentita solo nelle specifiche fattispecie considerate nell’art.13 del CCNL del 9 maggio 2006 in materia di buono pasto. Per completezza informativa, si ricorda anche che la medesima pausa non può essere neppure soppressa o dichiarata rinunciabile dalla contrattazione integrativa (non figurando questo profilo tra le materie ad essa demandate dal CCNL) o da atti unilaterali dell’Ente (per evidente contrasto con la legge e con il contratto collettivo nazionale di lavoro).
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