Profondo rosso sulla trasparenza

Partita una campagna per garantire un controllo più stringente dei cittadini sulle singole spese

Marcello Serra 10 Febbraio 2013
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Il report #Salviamogliopendata è il risultato della Settimana della trasparenza lanciata da Agorà Digitale a fine gennaio. «È solo la versione 0.2 di un documento interattivo. Lo abbiamo aggiornato fino all’ultimo, continuando a monitorare l’attualità politica», spiega Luca Nicotra, segretario dell’associazione, riferendosi al primo passo del più vasto monitoraggio delle spese della Pubblica amministrazione mai effettuato in Italia e agli sviluppi che la normativa su cui si basa potrebbe subire. «I cittadini hanno compilato 707 rapporti su quasi 1.200 enti. Presto metteremo sul sito www.eradellatrasparenza.it anche le Api per aggregarli».
La campagna è partita poco dopo l’entrata in vigore dell’articolo 18 del decreto sviluppo di luglio che prevede l’obbligo di pubblicare, in maniera accessibile, tutte le spese della Pubblica amministrazione superiori ai mille euro. Per una settimana i cittadini, coordinati da Agorà Digitale, hanno visitato i siti ufficiali e compilato una scheda valutando presenza dei dati, facilità nel trovarli e formato. Il dato chiave si trae dalla mappa nazionale: vaste le aree in rosso, a indicare le amministrazioni non in regola con la normativa.
«Bisogna riconoscere a molte amministrazioni la buona volontà – prosegue Nicotra -: non sono stati emanati né decreti attuativi né linee guida, ogni ente improvvisa. Prima del monitoraggio abbiamo inviato una mail. In alcuni casi la reazione è stata l’immediata pubblicazione dei dati». Nel report si legge la testimonianza di Paolo Coppola, assessore all’Innovazione del Comune di Udine. Nel 2009 fu il primo a mettere online i bilanci del Comune. La sua posizione è chiara: «Servirebbe un automatismo nelle procedure di pubblicazione, fare aggiornamenti software che vadano verso il cloud piuttosto che proseguire con gli attuali metodi che non possono che essere temporanei, perché antieconomici». Chiediamo a Ernesto Belisario, responsabile del team legale di Agorà Digitale quali sono i rischi che corrono le amministrazioni inadempienti: «Le spese devono essere pubblicate prima di emettere i pagamenti. Senza pubblicazione questi non sono validi. Chi esegue il lavoro potrebbe essere il primo a denunciare la Pa per tutelarsi. Senza contare il rischio di accusa di danno erariale».
Se l’articolo 18 restasse in vigore così com’è grandi flussi di denaro, come gli appalti della Sanità o Expo2015, sarebbero monitorabili. A rendere il lavoro di accesso ancora più facile potrebbe essere una legge, che non ha ancora le caratteristiche del Freedom of information act (Foia) americano che permette a qualunque cittadino di accedere a tutte le informazioni, tranne quelle protette da segreto di Stato. Il sogno di un’altra organizzazione che basa la sua azione sull’accesso ai dati: Diritto di Sapere. Grazie al suo contributo nell’aprile 2012 Bloomberg ha pubblicato un’inchiesta sull’accordo sui derivati tra il Comune di Cassino e JpMorgan, dopo che per un anno l’ente locale si era rifiutato di dare le informazioni sui contratti. Il collegamento tra le due norme è ancora Luca Nicotra a spiegarlo: «con l’articolo 18 l’amministrazione pubblica tutte le informazioni, con una legge modello Foia chi riscontrasse qualche incongruenza avrebbe il diritto di chiedere i documenti che giustificano quella spesa. In America hanno calcolato che servono 5 dollari per ogni richiesta. Ma i benefici in termini di riduzione di corruzione e inefficienze sono ben superiori ai costi».
Nel frattempo, il 22 gennaio, il Governo ha approvato la «bozza del decreto di riordino della normativa in materia di trasparenza». Agorà Digitale, Diritto di Sapere e molti cittadini si sono attivati con la campagna #nientecondonisullatrasparenza. L’appello chiede un vero Foia italiano e la conservazione dell’articolo 18 del decreto sviluppo. Tra i punti critici della modifica il fatto che la pubblicazione non avverrebbe più per ogni singola voce di spesa, ma attraverso un unico testo, senza misure di accessibilità. Rendendo quasi impossibile lo studio e l’utilizzo dei dati.

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