Province (abolite) creano lavoro

Marcello Serra 4 Agosto 2014
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«Cascan le rose e restan le spine», mette in guardia il detto popolare, «non giudicate nulla prima della fine». È coriacea la (r)esistenza in vita delle province, la cui cancellazione era stata sancita dalla riforma Delrio, in Gazzetta Ufficiale ad aprile. Da allora, però, le immarcescibili amministrazioni fanno capolino, qua è là, nelle norme in Parlamento, laddove la salvifica «manina» di politici bipartisan si sporge per eluderne il (definitivo) trapasso. A spulciare fra le carte, le si ritrova nel decreto Irpef (quello degli «80 euro»), dove insieme a regioni, città metropolitane e comuni vengono miracolosamente esentate dall’obbligo di dare l’altolà ad «incarichi di consulenza, studio e ricerca e a contratti di collaborazione coordinata e continuativa», quando la spesa supera un certo rapporto rispetto a quella effettuata per il personale. Resuscitano pure nel primo atto del «Jobs Act», quando il governo decide di appoggiare l’ordine del giorno del Pd per stabilizzare i dipendenti dei servizi per l’impiego provinciali, le cui funzioni, recita il testo, «andranno potenziate, anche alla luce del programma Garanzia giovani», per «agevolare l’incontro tra domanda e offerta». Da ultimo, nel provvedimento sulla p.a. e l’Expo esaminato dagli onorevoli in questi giorni, s’infiamma la «querelle» fra sindacato ed esecutivo: il primo teme un emendamento anticipi la cessazione del rapporto di lavoro per circa 2 mila precari degli enti dal 31 gennaio al 30 settembre di quest’anno, il secondo, per bocca del sottosegretario Angelo Rughetti, fa sapere che «non si può ritenere che decadano contratti la cui scadenza è prevista per fine anno». Non è, perciò, tempo per il «de profundis». Sarebbe bastato, scriveva Philip Roth, «non annunciare la morte con tanta spavalderia».

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