Province: i tagli e le opportunità

Marcello Serra 23 Settembre 2012
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La strana storia delle nuove Province s’intreccia ai bordi della metropoli. Audizioni, documenti, tavoli di lavoro, campanilismi, deroghe e ricorsi accorpano e disaggregano le Province a corto di «criteri» (territorio o popolazione). In questo scorcio di mese, il Cal (consiglio delle autonomie locali) dovrà presentare una proposta di ridisegno della Lombardia ai tempi della spending review e dei partiti deboli. Un cammino rapido dalle mille contraddizioni. La politica (tranne la Lega) è ufficialmente a favore ma sotto sotto spera che non se faccia niente, le aggregazioni appassionano gli addetti ai lavori ma lasciano disincantati i cittadini, le nuove Province avranno meno funzioni ma al tempo stesso si porteranno dietro i servizi delle altre strutture pubbliche. La breve stagione costituente dei nuovi enti intermedi comunque rappresenta un banco di prova della politica, che deve far digerire matrimoni impossibili e Province nomadi (la prefettura qua e la questura là). Dietro a un’operazione di maquillage istituzionale, c’è però l’opportunità di ricomporre nuove appartenenze che si sono consolidate superando il limite dei confini territoriali (ed elettorali). Rispondere in modo «tecnico» al taglio lineare del governo significa delegare presente e futuro agli amministratori. La politica, invece, fa sintesi e va oltre al partito dei sindaci, se è la sola sommatoria di esperienze frammentate. Lo stesso partito macroregionale ha senso in un progetto che è consapevole di tutte le distanze e i costi di un Paese che non ha mai risolto il tema dello sviluppo del Sud. Che resta anche un problema del Nord, della sua capacità di dimostrarsi davvero leader sociale ed economico. Milano ha assorbito le migliori forze meridionali nelle università, nelle professioni, nelle aziende. E ora è impegnata con i figli degli stranieri del lavoro, a partire dalle scuole. Certo, continua a farlo con concretezza, apertura, offrendo cittadinanza. Riassume, cioè, un Paese che non c’è, quello più moderno e globale. Ma, al tempo stesso, deve riuscire a riavviare una classe dirigente nelle aree di provenienza e a delocalizzare un’imprenditoria per convinzione (e non solo per convenienza). Finora ha delegato alla «politica romana» la funzione di ridistribuzione, pagando caro in termini di ruolo. Milano, insomma, ha l’occasione a partire da questa partita delle Province di dimostrarsi ancora una volta una «capitale» vera. Come si accrocchiano le nuove aree vaste, è una questione da laboratorio politico e non da ragioniere della partita doppia. Così come i rapporti con i nuovi concittadini della città metropolitana. Occorre alzare lo sguardo oltre alla cerchia dei Navigli, consapevoli che la Città della salute o il nuovo stadio stanno meglio fuori dal centro e che l’Area C insieme alla politica dei trasporti e dell’ambiente, della cultura e del welfare è una questione di flussi ampi e non finisce ai varchi con le telecamere. Per la politica assediata dal disinteresse ripensare alle nuove autonomie locali con originalità e consenso, è come l’ultimo Batman (quello vero) che esce dal pozzo.

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