Licenziamenti più facili anche per i dipendenti pubblici con la riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Le nuove regole annunciate dal ministro del lavoro, Elsa Fornero, rischiano di essere estese ai 3,5milioni di lavoratori del pubblico impiego, seppure nella serata di ieri il ministro del Welfare abbia tirato il freno a mano. Sindacati in agitazione, il governo prende tempo. La Cgil sfi da Monti e annuncia una raffi ca di scioperi. Gelo Di Bersani. Vendola e Di Pietro cavalcano la protesta. Cna: ora meno tasse. Il garibaldino Renato Bunetta non ha osato nemmeno proporlo durante il suo mandato di ministro della funzione pubblica. Il governo di Mario Monti rischia ora di riuscirci: i dipendenti pubblici, al pari dei privati, potranno essere licenziati più facilmente in caso di crisi grazie al riformato articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il ministro della funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, ieri è stato il primo a dire che sì, le nuove regole si applicano anche al pubblico, salvo poi fare una quasi smentita, invitando tutti ad attendere il provvedimento prima di valutare l’applicazione ai pubblici. Un comunicato che ha provato a gettare acqua sul fuoco delle polemiche che subito sono divampate e che hanno rischiato di far saltare del tutto il consenso alla riforma anche da parte di Cisl e Uil. Tanto che dal ministero del lavoro intervenivano in serata per assicurare che la riforma non si applicherà agli statali, «Patroni Griffi non partecipa neanche alle trattative». I tecnici di Elsa Fornero erano nel frattempo al lavoro sull’articolato per disinnescare la mina. I travet italiani sono un esercito, circa 3,5 milioni di dipendenti a tempo indeterminato che in questi anni di recessione, in cui le aziende hanno licenziato a più non posso, hanno avuto il privilegio del posto fisso garantito. A differenza dei colleghi della Grecia, per esempio. Per i sindacati l’estensione dell’articolo 18 al settore pubblico è inaccettabile: riguarda una platea di lavoratori molto ampia, in cui è facile invocare la tutela di diritti costituzionali, come quello alla libertà di insegnamento e all’imparzialità della pubblica amministrazione, a garanzia dell’intoccabilità del posto; e sarebbe difficile anche per un sindacato moderato spiegare ai lavoratori privati che è giusto licenziarli più facilmente mentre gli statali no, loro restano intoccabili. I leader di Uil e Cisl, Luigi Angeletti e Raffaele Bonanni, hanno detto chiaramente ieri al governo che l’articolo 18 nel pubblico è impensabile, in questo all’unisono con la segretaria della Cgil, Susanna Camusso. Ma dov’è il rischio? L’articolo 51 del decreto legislativo 165/2001, che disciplina il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, precisa che «la legge 20 maggio 1970, n. 300 (ovvero lo Statuto dei lavoratori che contiene l’articolo 18 sull’ingiusto licenziamento modificato dalla Fornero, ndr), e le successive modificazioni e integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti». Il verbale sulla riforma del mercato del lavoro dispone appunto la modi fica dell’articolo 18 dello Statuto. E non reca nessuna deroga per i dipendenti pubblici. Se anche il provvedimento, decreto legge o legge delega, non recherà nessuna eccezione espressa, dunque anche ai pubblici si applicheranno le regole dei privati. Conseguenza considerata naturale da più di un giuslavorista giacché il lavoro pubblico è stato privatizzato. I sindacati puntano a sventare ogni rischio già nel testo del governo e comunque terranno alta l’attenzione sul parlamento. «L’articolo 18 non è mai stato applicato per il pubblico impiego e non è facilmente applicabile perché la natura giuridica dei contratti è diversa», ragiona Angeletti. «Abbiamo ancora due-tre giorni di tempo per modificare e migliorare il testo perché non è definito», aggiunge Bonanni, «vediamo comunque di buon occhio eventuali cambiamenti se ci sono falle molto grosse nei testi che usciranno». Il parlamento sarà il prossimo campo di battaglia e non solo per le istanze dei sindacati ma anche per il destino del partito democratico. Dario Franceschini, capogruppo pd alla camera a e tra i rappresentanti dell’area moderata, ieri invitava Monti a ripensarci e a fare sintesi tra le diverse posizioni sindacali, senza dunque escludere la Cgil. Se questa è la posizione dei moderati, vuol dire che nel Pd la preoccupazione per la tenuta interna è forte, ragionavano nel Pdl. Che ha problemi di partito, certo, ma sull’articolo 18 è messo meno peggio dei colleghi di maggioranza.
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