Si apre la partita su rinnovi e rappresentanza

Chiuso l’accordo sui quattro comparti, nel pubblico impiego si apre il fronte del rinnovo dei contratti e della rappresentanza.

6 Aprile 2016
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Chiuso l’accordo sui quattro comparti, nel pubblico impiego si apre il fronte del rinnovo dei contratti e della rappresentanza.

Sul fronte del contratto 2016-2018, per il quale sono disponibili 300 milioni, ancora non si conosce la data di convocazione del tavolo. Perché l’ipotesi d’accordo raggiunta all’alba di ieri tra Aran e sindacati diventi definitiva, infatti, occorrono una serie di passaggi procedurali, che saranno conclusi in tempi non brevissimi. Anzitutto si attende una verifica da parte del governo sul rispetto del mandato, poi la Corte dei conti dovrà effettuare un controllo contabile e, ottenuta la bollinatura, toccherà ai Comitati di settore formalizzare l’atto di indirizzo all’Aran. Il presidente dell’Aran, Sergio Gasparrini, sottolinea i vantaggi della riduzione dei comparti sul versante della «semplificazione dell’architettura contrattuale»: l’effetto è che «saremo chiamati a rinnovare quattro contratti nazionali ogni 3 anni, mentre in passato dovevamo farne 22 in quattro anni, visto che c’erano due tornate biennali, più un’altra decina relativi ad enti che avevano un contratto dedicato».

Anche l’applicazione delle nuove discipline contrattuali si prevede avverrà gradualmente: i nuovi contratti nazionali, frutto di aggregazioni di realtà molto diverse tra di loro, avranno parti comuni relative a istituti generali applicabili a tutti i lavoratori del comparto, ma conserveranno anche parti speciali o sezioni, che terranno conto di aspetti peculiari (soprattutto sul versante retributivo) che non siano immediatamente uniformabili o che necessitino di una distinta disciplina.

Anche nell’applicazione delle regole sulla rappresentanza, si prevede una fase transitoria. Nel pubblico le organizzazioni sindacali devono superare la soglia del 5% – intesa come media tra deleghe e voti alle Rsu – per essere ammessi a negoziare, così come per l’accesso alle prerogative sindacali (permessi, distacchi, assemblee). Considerando che le elezioni delle rappresentanze sindacali negli undici comparti si sono svolte a marzo del 2015, con il passaggio a quattro comparti va ridisegnata la geografia della rappresentatività dei pubblici dipendenti, ed essendo più ampio il comparto sarà necessario anche avere più voti e iscritti rispetto al passato per rientrare nella fatidica soglia del 5%. Sono due le opzioni per i sindacati. «È prevista una finestra per le nuove aggregazioni», spiega Gasparrini: entro 30 giorni dalla firma definitiva dell’accordo possono decidere di aggregarsi per raggiungere almeno il 5% come media del dato associativo e il dato elettorale ed essere ammessi con riserva. Mentre l’ammissione definitiva avverrà solo dopo la ratifica da parte degli organi statutari preposti (i congressi), e dovrà essere inviata all’Aran entro il 31 dicembre 2017. La seconda opzione, considerata “residuale”, consiste in uno speciale “diritto di tribuna” per quelle sigle che non hanno avviato processi aggregativi perché non hanno “parentele” con altri sindacati, ma con il vecchio sistema avevano superato la soglia del 5% in almeno uno dei comparti delle aree preesistenti: «Queste sigle – continua il presidente dell’Aran – avranno diritto di presenza ai tavoli negoziali, senza avere diritto di parola o godere delle prerogative sindacali».

La partita che si aprirà con il sindacato non appare affatto semplice. «Raggiunto l’accordo sulla riduzione dei comparti, – sostiene Michele Gentile (Cgil) – vanno rinnovati i contratti pubblici, mettendo le risorse necessarie visto che 300 milioni della legge di stabilità equivalgono a 5-6 euro a testa. Servono risorse aggiuntive anche per la contrattazione integrativa. Allo stato dell’arte il rinnovo rischia di far perdere soldi ad alcuni lavoratori, per l’obbligo di applicare le tre fasce di merito previste dalla riforma Brunetta nella distribuzione dei premi di produttività». Maurizio Bernava (Cisl) auspica che «il Governo si impegni a favorire il confronto sui contenuti dei decreti delegati della legge Madia dopo 7 anni dalla cosiddetta Legge Brunetta che di fatto ha bloccato gli spazi negoziali nella Pa». Antonio Foccillo (Uil) sottolinea le «numerose incognite sia sul piano economico che su quello normativo» e sollecita il Governo a «dimostrare che ha la volontà di rinnovare i contratti». I sindacati si attendono segnali in tal senso nel Def.

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