Le normative nazionali e contrattuali prevedono che il dipendente che sia colpito da misura restrittiva della libertà personale debba essere sospeso d’ufficio dal servizio con privazione della retribuzione per la durata dello stato di detenzione o, comunque, dello stato restrittivo della libertà.
Il lavoratore può invece essere sospeso dal servizio – c.d. “sospensione facoltativa” – con privazione della retribuzione, anche nel caso in cui venga sottoposto a procedimento penale che non comporti la restrizione della libertà personale o questa sia comunque cessata, qualora l’ente disponga, ai sensi dell’art. 55-ter del d.lgs. n. 165/2001, la sospensione del procedimento disciplinare fino al termine di quello penale. L’articolo 55-ter del d.lgs. n. 165/2001 stabilisce poi che, in caso di sospensione del procedimento disciplinare in attesa dell’esito penale, il procedimento disciplinare sia, rispettivamente, ripreso o riaperto, mediante rinnovo della contestazione dell’addebito, entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza, da parte della cancelleria del giudice, all’amministrazione di appartenenza del dipendente, ovvero dal ricevimento dell’istanza di riapertura inoltrata dal dipendente stesso.
Il CCNL 2016-2018, ha poi precisato che, nel caso di sentenza penale definitiva di assoluzione o di proscioglimento, pronunciata con la formula “il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso” oppure “non costituisce illecito penale” o altra formulazione analoga, quanto corrisposto, durante il periodo di sospensione cautelare, a titolo di indennità, verrà conguagliato con quanto dovuto al dipendente se fosse rimasto in servizio, escluse le indennità o i compensi connessi alla presenza in servizio, o a prestazioni di carattere straordinario.
Da quando decorre effettivamente il richiamato conguaglio?
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