L’Italia si gioca tutto al summit europeo del 28 giugno. E il premier Mario Monti vuole presentarsi al consiglio europeo in una posizione di forza, inattaccabile anche dalla rigorista Angela Merkel. Due gli assi nella manica: la riforma del lavoro privato, che Monti caldeggia sia approvata a tempi record e a dispetto del calendario parlamentare, e quella, un po’ a sorpresa, che interviene sui lavoratori pubblici. Secondo i rumors che giungono da Palazzo Vidoni e via XX Settembre, il governo potrebbe decidere di approvare entro la prossima settimana un decreto legge che taglia il 10% degli organici dei dipendenti e il 20% dei dirigenti. Il taglio, che già è stato decretato per il ministero dell’economia e per Palazzo Chigi, ovvero i due comparti dei quali è responsabile politico lo stesso premier-ministro, si applicherebbe a tutti i ministeri, alle agenzie fiscali e agli enti pubblici non economici. E sarebbe solo l’antipasto di una seconda manovra molto più radicale, che andrebbe in scena ad agosto, su regioni e sanità. In questo modo Monti potrebbe esibire ai partner europei una riforma radicale e facilmente comprensibile dell’apparato pubblico, finora rimasto intonso a dispetto della crisi. A dimostrare che non esistono più zone di privilegio e che l’Italia fa sul serio. Ma sui risparmi effettivi che l’operazione può dare alla spending review vi è più di un dubbio. Anche dalle parti della Ragioneria generale dello stato, che pure diligentemente sta curando il dossier. I tagli di cui si parla agiscono inevitabilmente su un perimetro limitato, quello dello stato centrale, circa 300 mila dipendenti, lasciando scoperta la scuola ma anche le regioni e sanità (per le ultime due è necessaria la collaborazione delle autonomie locali), oltre 2 milioni di lavoratori, la parte più corposa del pubblico impiego. E poi si agisce sulle piante organiche, ovvero sui posti, non sui dipendenti effettivamente in servizio. Si prenda il caso del dicastero di via XX settembre, l’Economia: la dotazione organica è di 11.300 posti, le presenza sono circa 11.100, per cui c’è una carenza di 200 dipendenti e il taglio di teste effettivo sarebbe di 900 posti. Ma ci sono tanti altri ministeri dove le cose andrebbero ancora peggio: all’Istruzione, su 7.600 posti, le presenze sono 5.250, anche con un taglio del 10%, avanzano altri 1.500 posti presenti e non occupati. L’individuazione degli esuberi poi non può essere fatta sulla carta ma in base alle funzioni, da accorpare o sopprimere. Ecco perché il decreto legge per essere operativo richiederebbe comunque tempo e decreti delegati successivi. Per gli esuberi scatterebbe la noma di Brunetta: 80% di stipendio per due anni e poi licenziamento o pensione. Se il criterio è quello di preferire i 60enni, si tratta di andare poi in pensione. Sempre dunque costi a carico dello stato. Il risparmio sarebbe insomma ben poca cosa. Ma a Monti potrebbe forse bastare, dice una voce benevola di via XX Settembre.
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