Il titolo è allettante: misure per la tempestività dei pagamenti per l’estinzione dei debiti pregressi delle amministrazioni statali, ecc. ecc. È l’articolo 35 del decreto liberalizzazioni varato venerdì. Sembrerebbe innocuo, invece – come si dice – il diavolo si nasconde nei dettagli. In questo caso è un dettaglio corposo: tutto il comma 4, una ventina di righe con diverse disposizioni.
La prima riguarda le retribuzioni dei dirigenti generali della Pubblica amministrazione. La manovra Tremonti del 2010 (decreto 78) aveva disposto che un nuovo dirigente non avrebbe potuto avere una retribuzione superiore a quella del suo predecessore. Lo stesso decreto congelava anche i rinnovi contrattuali di tutti i dipendenti dello Stato. Ebbene ora, con questo comma, si dispone una deroga a questa norma.
Come mai? Naturalmente non lo si scrive, ma nei corridoi si mormora che sia una decisione voluta dalle Agenzie fiscali, dove sono in vista spostamenti di dirigenti, i quali andrebbero ad occupare ruoli con retribuzioni più basse di quelle che hanno oggi. Ma circola anche un altro dubbio. Che la deroga possa valere anche per i capi dipartimento di Palazzo Chigi, che in marzo avranno il rinnovo del contratto.
GRILLI
Il comma non si ferma qui. Si conferma il contributo di solidarietà oltre i 90mila euro, ma si dispone anche la possibilità di mantenere vacante un ruolo dirigenziale per 120 giorni, affidandone le funzioni di coordinamento con decreto dell’organo di vertice politico. È la fotografia dell’attuale ruolo di direttore generale del Tesoro, in cui Vittorio Grilli, oggi viceministro, non è mai stato sostituito. Infine si conferma il tetto alle retribuzioni dei dirigenti pubblici, equiparati al primo presidente della Corte di Cassazione. peccato che quella norma preveda delle deroghe generiche, che in questa occasione avrebbero potuto essere specificate e limitate.
Bianca di Giovanni
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