Sui dirigenti pubblici la scure di Monti

LA SPENDING REVIEW È PRONTA AD ABBATTERSI ANCHE SU DI LORO E SECONDO LA NORMA CHE DOVREBBE FAR RISPARMIARE ALLO STATO 26 MILIARDI IN TRE ANNI, IL 20 PER CENTO DEI 190 MILA MANAGER DI STATO SARÀ FATTO OGGETTO DI TAGLI

Marcello Serra 3 Dicembre 2012
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Non sarà un addio al grand commis di Stato , ma il ruolo, il peso e soprattutto il numero dei dirigenti pubblici hanno imboccato la strada di un drastico ridimensionamento. La scure della spending review è pronta ad abbattersi anche su di loro e secondo il provvedimento di razionalizzazione della spesa che dovrebbe far risparmiare allo Stato 26 miliardi in tre anni, il 20 per cento dei 190 mila manager pubblici sarà fatto oggetto di tagli. Per il momento, però, il campo d’azione della forbice messa in moto dal governo Monti è più circoscritto e i manager direttamente interessati alla prima fase del provvedimento che riguarda ministeri, istituti di ricerca, enti pubblici non economici come l’Inps sono poco più di 4mila. Guardando ai numeri, l’Analisi 2012 compilata dalla Ragioneria generale dello Stato sulla spesa delle amministrazioni centrali, dimostra come tra il 2003 e il 2010 il rapporto tra dirigenti e dipendenti nel pubblico sia passato dal 7 al 7,5%, e il numero dei primi sia cresciuto in modo significativo in alcuni settori. Nel sistema sanitario nazionale i dirigenti sono balzati dai 139mila del 2003 ai 145mila del 2010. Anche se su dimensioni più ridotte, sono cresciuti con proporzioni rilevanti quelli operanti presso la Presidenza del Consiglio, passati nello stesso periodo da 197 a 335. I Vigili del Fuoco hanno visto aumentare la classe dirigente di 30 unità e le Forze Armate di oltre 400 (da 2.544 a 2.961). Intanto – secondo i calcoli dei sindacati – nella prima tranche di interventi annunciata due settimane fa dal ministro della Funzione Pubblica Filippo Patroni Griffi che riguarderà le amministrazioni centrali, tra i tagli indicati per alcuni dicasteri sono stati individuati 487 dirigenti. Per quelli che non hanno ancora raggiunto l’età pensionabile, il problema sarà quello del ricollocamento, come dichiara Angelo Salvatori, partner di Intoo, la società del gruppo Gi Group, una delle prime aziende in Italia nei servizi di continuità professionale: «Ci troviamo di fronte a una rivoluzione copernicana perché fino ad oggi i manager pubblici sono stati inamovibili. Quindi anche per chi come noi è specializzato nei servizi di ricollocamento sarà un’esperienza nuova. È certo però che, sebbene l’Italia non abbia una formazione del management pubblico prestigiosa come ad esempio la Francia, tuttavia soprattutto negli ultimi anni i dirigenti delle amministrazioni hanno acquisito competenze sempre più elevate. Questo conforta sulla possibilità di un loro ricollocamento anche nel settore privato». «Auspicabile è invece – prosegue Salvatori – che lo Stato, una volta individuati i manager da tagliare, gli garantisca anche il pagamento di servizi di outplacement come ormai avviene spesso per le aziende private. Sarebbe un segno di modernità e un aiuto concreto a professionisti che altrimenti sarebbero costretti a rimanere anni in attesa della pensione. Questa soluzione è stata già adottata da alcuni enti a livello locale come la Regione Lazio che ha emesso un bando per l’affidamento a società esterne specializzate in outplacement del ricollocamento del personale in esubero». La scorsa settimana il problema dei dirigenti pubblici tagliati dalla spending review è stato sottoposto anche al premier Mario Monti che ha preso parte all’assemblea di Cida, la confederazione sindacale che rappresenta i manager del pubblico e del privato. «Nel pubblico abbiamo un serio problema – commenta il presidente di Cida, Silvestre Bertolini – per i dirigenti e per la gestione ottimale di queste organizzazioni che è legato, più che a tagli nel numero, al taglio netto che si dovrebbe dare al legame improprio e condizionante con la politica. Spesso, se non sempre, i manager pubblici sono impossibilitati ad agire per le scarse deleghe e poteri loro concessi da una politica che li sceglie e li controlla in modo improprio distorcendone l’effettivo ruolo. Serve una dirigenza pubblica svincolata dalla politica, che deve fissare obiettivi e controllare, ma non gestire. I dirigenti pubblici devono essere unicamente scelti, valutati e trattenuti sulla base delle competenze e dei risultati raggiunti, come avviene di norma nel privato, e avendo come unico obiettivo l’interesse collettivo». In realtà, a parte gli effetti del provvedimento sulla spending review , già dalla fine del 2011 e nei primi mesi del 2012 è stato avviato un processo di snellimento del corpo dirigenziale che guida la “Stato italiano spa”. Questo è accaduto soprattutto nel settore scolastico dove il numero dei dirigenti, identificato con i presidi degli istituti, è diminuito già di circa il 20% tra il 2011 e il 2012 passando da oltre 10mila a 8mila unità. E questo a seguito di provvedimenti che non hanno nulla a che fare con la spending review come quello che prevede per le scuole con meno di 600 alunni l’accorpamento dirigenziale con altri istituti. La politica dei tagli, siano essi lineari o figli di una strategia più avveduta di riduzione degli sprechi e alleggerimento della spesa pubblica, tocca non solo le figure professionali in uscita ma stringe anche l’imbuto dell’entrata. Quest’anno i posti previsti dal corso dirigenziale organizzato presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione sono stati solo 26, quando la media degli ultimi anni si aggirava intorno ai 150. A denunciarlo è Pompeo Savarino, presidente dell’Associazione classi dirigenti della PA, che sottolinea la capacità di questa scuola di formazione di immettere sul mercato pubblico eccellenze professionali di altissimo livello. «I manager dello Stato – afferma Savarino – hanno ormai assunto competenze elevate ed è un bene che la macchina pubblica continui ad essere ringiovanita con innesti di nuovi dirigenti provenienti dalle scuole di formazione. Parallelamente però è anche opportuno un graduale riordino dell’apparato gestionale dello Stato perché è indubitabile che negli ultimi 30 o 40 anni la Pa è stata spesso usata come un ammortizzatore sociale. E in questo senso la scelta del governo di assorbire gli esuberi gradualmente ma iniziare a farlo da subito sembra andare nella direzione giusta». Andrea Camporese Presidente dell’Adepp Applicarci la revisione della spesa pubblica, incidere nei contratti privatistici prevedendo di versare allo Stato il risultato del risparmio, rischia di essere inefficace e controproducente

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