«Trasparenza Pa da rivedere»

Autorità di vigilanza. Appello del regolatore dei contratti pubblici: correzioni prima della pubblicazione Santoro: nel decreto rafforzare gli obblighi di comunicazione negli appalti L’OMISSIONE Dimenticati gli obblighi di trasmissione all’Autorità dei dati relativi agli appalti che le amministrazioni dovranno mettere online

Marcello Serra 6 Febbraio 2013
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Correggere il decreto sulla trasparenza della Pa prima della pubblicazione. È quanto chiede l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici con una lettera firmata dal presidente Sergio Santoro e inviata al ministro della semplificazione Filippo Patroni Griffi e al sottosegretario di Stato Antonio Catricalà. Secondo l’Autorità il testo approvato dal Consiglio dei ministri il 22 gennaio, in attesa del parere della Conferenza unificata e del garante della privacy, va rivisto, rafforzando gli obblighi di comunicazione della Pa in materia di appalti, estendendo il sistema delle sanzioni nei confronti delle amministrazioni ritrose a fornire informazioni sui contratti, uniformando il concetto di costi unitari delle opere pubbliche a quello dei costi standard, previsto dal codice dei contratti pubblici, e dei prezzi di riferimento delle prestazioni sanitarie che la stessa Autorità è stata incaricata di rilevare.
Il decreto varato dal Governo mette in pratica le indicazioni della legge anticorruzione (legge 190/2012) in materia di appalti pubblici e sul fronte dell’edilizia privata. Il decreto fa salvi gli obblighi di pubblicità legale, con il vincolo di pubblicazione di bandi e avvisi di aggiudicazione sui giornali (con costi a carico di imprese e professionisti a partire dal primo gennaio). Aumentano però i dati e le informazioni da pubblicare sui siti web. Nel dettaglio, andranno on line il bando, la determina di aggiudicazione, l’oggetto del bando, l’oggetto dell’eventuale delibera a contrarre, l’importo, l’aggiudicatario, la base d’asta, la procedura e la modalità di selezione del contraente, il numero di offerenti, i tempi di completamento dell’opera, l’importo delle somme liquidate, le modifiche contrattuali, le decisioni di ritiro e recesso dei contratti (comma 1 dell’articolo 37). Per tutte queste informazioni, segnala Santoro, non è previsto «alcun obbligo di trasmissione delle informazioni in formato digitale a questa Autorità». Né, di conseguenza, esiste alcun obbligo per l’Autorità di pubblicare queste informazioni sul proprio sito e di comunicare l’elenco delle Pa inadempienti alla Corte dei Conti con l’applicazione delle sanzioni previste dal Codice degli appalti per le amministrazioni poco trasparenti (da 25.822 a 51.545 euro per i casi più gravi). Una “dimenticanza” poco spiegabile per l’Autorità. Anche alla luce del fatto che lo stesso decreto prevede che le stazioni appaltanti raccolgano comunque tutte queste informazioni rendendole liberamente fruibili sul proprio sito web e inviandole al via Ripetta ogni tre mesi in forma aggregata. Un principio che vale per tutti i contratti sotto i 20mila euro e per tutti gli appalti di lavori pubblici: per i quali vanno pubblicati anche il verbale di consegna dei lavori, il certificato di ultimazione dei lavori e il conto finale. Oltre alla delibera a contrarre nel caso di interventi affidati a trattativa privata senza bando. In tutte questi casi il provvedimento varato dal Governo prevede l’obbligo di informare l’Autorità a pena di sanzione. «E ciò – sottolinea Santoro – senza che questa disparità di trattamento appaia giustificata da una maggiore rilevanza di tali dati rispetto a quelli del comma 1 ai fini perseguiti dall’intervento normativo». Cioè aumentare il grado di trasparenza della Pa.
Un altro rilievo riguarda l’obbligo per le amministrazioni di pubblicare sui propri siti web i «costi unitari» di realizzazione delle opere pubbliche sulla base di uno schema-tipo redatto dall’Autorità. Per Santoro servirebbe innanzitutto un chiarimento sulla «nozione di costi unitari», da raccordare a quelle di «costi standard» e «prezzi di riferimento» previste rispettivamente dal codice dei contratti pubblici e dalle norme in materia di prestazioni sanitarie. «Tale raccordo non è stato ancora operato dal legislatore ed è, ad oggi, fonte di gravi difficoltà operative».

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