Recente giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sez. II, sentenza n. 746 del 23 gennaio 2024) ha stabilito che occorre avviare un procedimento disciplinare nel caso di accertamento da parte di un dipendente pubblico della violazione dei vincoli di esclusività.
La prima conseguenza, si legge nella sentenza, “opera su un piano oggettivo e prescinde da valutazioni sulla gravità dell’inadempimento; la seconda è assoggettata ai principi propri della responsabilità disciplinare che presuppone sempre un giudizio di proporzionalità fra fatto contestato e sanzione, da esprimere tenendo conto di tutti gli aspetti oggettivi e soggettivi della condotta.
Detta duplicità si riflette sulla natura dell’atto adottato dal datore di lavoro e sull’indagine che deve essere compiuta in sede giudiziale, qualora dell’atto medesimo venga contestata la legittimità. L’istituto della decadenza, infatti, non ha natura sanzionatoria o disciplinare, ma costituisce una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati ab origine, avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro, men tre l’incompatibilità riguarda una valutazione astratta con giudizio prognostico ex ante, indipendentemente dall’esistenza di riflessi negativi sul rendimento e sull’osservanza dei doveri d’ufficio, in quanto l’ordinamento ha inteso prevenire, con il regime delle incompatibilità, il concretarsi del contrasto, inibendo le condizioni favorevoli al suo insorgere”.
Ancora: nel merito, si è in presenza di “una attività di mero fatto, in cui non risulta né la sottoscrizione di un contratto di lavoro né la percezione di un compenso né la partecipazione ad una società o lo svolgimento di uno specifico incarico. Ne deriva che la verifica della causa di incompatibilità (costituita da un’attività lavorativa svolta presso un esercizio commerciale) non poteva che presupporre un accertamento di fatto in ordine alla effettiva sussistenza di tale attività ovvero di una attività lavorativa che integrasse una causa di incompatibilità”.
Si legga anche:
–Incompatibilità dirigente medico di Simonetti S.;
–La Corte costituzionale su inconferibilità e incompatibilità degli incarichi pubblici di Crepaldi G. ;
–Le deroghe all’incompatibilità assoluta dei dipendenti pubblici di Aldigeri P. ;
–Incompatibilità per i dipendenti pubblici, relativamente all’esercizio della professione di avvocato;
–Incompatibilità nelle commissioni di concorso.
Inoltre, “l’amministrazione non ha neppure operato una corretta applicazione delle di sposizioni dell’art. 63 del Testo unico n. 3 del 1957 e dell’art. 36 del d.lgs. n. 442 del 1993, in quanto successivamente alla prima diffida avrebbe dovuto accertare l’avvenuta cessazione o meno della causa di incompatibilità, procedendo in caso di permanenza della incompatibilità alla dichiarazione di decadenza dal servizio, che si sarebbe prodotta automaticamente al verificarsi dei presupposti. Non essendosi verificata una tale circostanza è evidente che dopo circa un anno la diffida non poteva avere più alcun effetto”.
E, infine, “non risulta che i procedimenti disciplinari siano stati formalmente portati avanti. Sussiste quindi lo sviamento di potere, avendo l’amministrazione esercitato sostanzialmente un potere disciplinare in mancanza degli atti e procedimenti a tale fine espressamente previsti dalla disciplina legislativa (cfr. d.lgs. n. 449 del 1992), mentre il procedimento di decadenza, ai sensi degli artt. 36 del d.lgs. n. 443 del 1992 e 63 del T.U. n. 3 del 1957 esula da qualsiasi connotazione di carattere disciplinare”.
Il giudice della legittimità (Cass., sez. lav., 7 maggio 2019, n. 11949; 30 novembre 2017, n. 28797) ritiene che quando si verifichi una ipotesi di incompatibilità vengano in rilievo due diversi aspetti: l’uno relativo alla cessazione automatica del rapporto, che per volontà del legislatore si verifica qualora la incompatibilità non venga rimossa nel termine assegnato al di pendente; l’altro inerente alla responsabilità disciplinare per la violazione del dovere di esclusività, responsabilità che può essere comunque ravvisata anche nell’ipotesi in cui l’impiegato abbia ottemperato alla diffida, secondo quanto espressamente previsto dal T.U. n. 3/1957.
Con successiva ordinanza 23 gennaio 2024, n. 2307, gli Ermellini hanno stabilito che spetta alle aziende private ed agli enti pubblici economici richiedere l’autorizzazione del dipendente pubblico allo svolgimento di un’attività lavorativa ulteriore e che la violazione della disposizione determina la maturazione di una sanzione a carico della stessa azienda, non essendo questa previsione legislativa in contrasto con i principi dettati dalla Costituzione.
Nella sentenza si legge: “Nel pubblico impiego contrattualizzato l’art. 53, nel suo insieme, consente l’esperimento di incarichi extra-istituzionali retribuiti solo ove gli stessi siano conferiti dall’amministrazione di provenienza, ovvero da questa preventivamente autorizza ti, rimettendo al datore di lavoro pubblico la valutazione della legittimità dell’incarico e della sua compatibilità, soggettiva ed oggettiva, con i compiti propri dell’ufficio. All’applicazione di tale disciplina concorre il comma 9 dell’art. 53, che fa carico agli enti pubblici economici e ai datori di lavoro privati di chiedere la preventiva autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza del lavoratore. Quanto richiesto al datore di lavoro dal citato comma 9 non può essere trasferito a carico del lavoratore. Ed infatti, anche il lavoratore concorre all’attuazione della disciplina sul la incompatibilità (cumulo di impieghi e incarichi), ma la norma di riferimento per quest’ultimo va individuata nell’art. 53, comma 7, che prende in esame le conseguenze per il lavoratore della mancanza di autorizzazione a svolgere l’incarico ex tra-istituzionale”.
I giudici del Palazzaccio, inoltre, affermano: “Quanto alla motivazione apparente, è utile ricordare che la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che tale vizio ricorre quando la motivazione, benché grafica mente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture”.
Occorre infine evidenziare che “la competenza territoriale dell’Autorità amministrativa cui spetta l’emissione del provvedimento sanzionatorio si determina in base al luogo in cui è stata commessa la violazione, intendendosi con tale espressione il luogo nel quale quest’ultima è stata accertata; il luogo di accertamento dell’infrazione ne rappresenta ipso facto il luogo di commissione”.
Con successiva pronuncia (Cass., sez. lav., ordinanza n. 6525 del 12 marzo 2024), i giudici hanno ribadito che, in tutti i casi di conferimento di incarichi retribuiti ai dipendenti pubblici, la pubblica amministrazione è tenuta a verificare necessariamente ex ante le situazioni, anche solo potenziali, di conflitto di interessi, al fine di assicurare il più efficace rispetto dell’obbligo di esclusività, funzionale al buon andamento, all’imparzialità e alla trasparenza dell’azione amministrativa. Ne consegue che il privato conferente l’incarico e il dipendente pubblico, anche se in part-time, han no entrambi, comunque, l’obbligo di comunicare al datore il conferimento dell’incarico, onde consentire all’ente pubblico di concedere la relativa autorizzazione, previa valutazione dell’assenza di una possibile situazione di conflitto di interessi del medesimo incarico con l’attività lavorativa (Cass., sez. II, n. 9552 del 7 aprile 2023; Cass., sez. II, n. 11811 del 18 giugno 2020) e, in caso di violazione di questo adempimento, la pubblica amministrazione ha diritto a riscuotere i compensi che sono stati versati al di pendente.
Da ultimo (Cass., ordinanza n. 14896 del 28 maggio 2024), è stato stabilito che matura responsabilità disciplinare a carico del dipendente pubblico che svolge incarichi esterni che non sono stati autorizzati dalla propria amministrazione ed ha dato utili indicazioni per il calcolo della decorrenza del termine per l’avvio del procedimento disciplinare. Viene evidenziato:“la disciplina delle incompatibilità dei pubblici dipendenti, contenuta, ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, nel d.P.R. n. 3 del 1957, vieta al lavoratore, per quanto rilevante in causa, l’esercizio del commercio, dell’industria, come imprendi tore individuale, nonché l’assunzione di una carica che comporti lo svolgimento di funzioni di gestione, all’interno di una società costituita a fine di lucro”.
Inoltre, “il comma 5 dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 prevede l’autorizzazione dell’amministrazione ogni volta che vengano conferiti incarichi da società o persone fisi che, che svolgano attività d’impresa o commerciale, tanto proprio al fine di esclude re, a monte, ipotesi di incompatibilità ex art. 98 della Cost. (in ragione del principio di esclusività sancito dalla disposizione costituzionale)”.
E ancora: “non rileva ai fini della sussistenza della condotta contestata che l’incarico fosse o meno gratuito, perché il conferimento di esso da parte di una da società o persona fisica, stante anche l’ampiezza dei poteri gestori conferiti con la procura, per ciò solo andava comunicato al datore per le valutazioni di incompatibilità, al fine, quindi, di verificare il rispetto del principio di esclusività”.
Infine, nell’ordinanza viene precisato che la controversia concernente la legittimità di una sanzione disciplinare è di va lore indeterminabile, giacché l’applicazione della sanzione può esplicare un’incidenza sullo status del lavoratore implicando un giudizio negativo che va oltre il valore strettamente economico della sanzione stessa ed involge la correttezza, la diligenza e la capacità professionale del lavoratore”.
Da segnalare un importante pronunciamento (Corte dei Conti, sez. giur. Sardegna, sentenza n. 130 del 15 maggio 2024) con cui il Collegio, ponendo si in continuità con l’orientamento giurisprudenziale precedente, “ha ribadito la piena operatività dell’art. 53, comma 7, medesimo anche alle fattispecie riguardanti ipotesi di attività assolutamente incompatibili”. È stato, sul punto, specificato che la locuzione “incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati” è idonea a ricomprendere sia quegli incarichi astrattamente autorizzabili ma in concreto non autorizzati, sia gli incarichi per i quali la preclusione allo svolgimento dell’attività esterna non avrebbe in ogni caso potuto essere rimossa attraverso il provvedi mento autorizzativo perché, in astratto, mai autorizzabili.
Ad avviso della magistratura contabile, “La evocata assenza di funzioni gestorie può essere riferita alle sole posizioni che, nell’ambito societario, non possano sostanziarsi nel compimento di attività di siffatta natura, quali quelle di socio, per le quali soltanto potrebbero ritenersi non ricorrenti gli impedimenti in discussione. Infine, alcuna equiparazione può prospettarsi nel caso di specie, tra la carica della convenuta e quella dell’amministratore indipendente, sulla cui figura si è soffermata la giurisprudenza di questa Corte, per esclude re la violazione del divieto ex art. 60 T.U. n. 3 del 1957, per assenza di poteri gestionali (sez. giur. Lombardia n. 162 del 2021).
Trattandosi di occupazioni per cui la legge ha effettuato a monte un vaglio di non cumulabilità con il rapporto di impiego pubblico, peraltro sanzionando gravemente la condotta inadempiente sul piano disciplinare, senza accordare all’ente alcun potere di rimuovere il divieto inderogabile fissato.
La disposizione contempla espressamente le incompatibilità assolute, premurandosi di chiarire che, comunque, restano impregiudicate le ulteriori conseguenze e le più gravi sanzioni altrove previste. Dunque, anche per le attività assolutamente vietate ha luogo la responsabilità amministrativa nella forma tipizzata di responsabilità per «danno da mancata entrata», nella quale il versamento dei compensi percepiti in forza di attività illegittimamente svolta dal dipendente pubblico per conto terzi si configura come «obbligo comprimario», preordinato a garantire la legalità e l’efficienza dell’azione amministrativa”.
Il presente estratto è tratto da
Dipendenti pubblici e svolgimento di incarichi extra-istituzionali
La legge n. 662/1996 prima, e il decreto legislativo n.165/ 2001, poi, consentono, per specifiche categorie di lavoratori e a determinate condizioni, lo svolgimento di altro lavoro a integrazione del reddito percepito per arricchire il proprio bagaglio culturale e professionale.Il ricorso al c.d. “doppio lavoro”, ammesso quindi in via generale dal nostro ordinamento giuridico, si è velocemente diffuso, in particolare per i part time.Il manuale, di taglio pratico-operativo, affronta il tema dello svolgimento di alcune attività extra-istituzionali che sono assolutamente vietate al dipendente pubblico in quanto lesive del dovere di esclusività della prestazione lavorativa, partendo dai principi sanciti dalla Carta Costituzionale posti a garanzia dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione (artt. 54, 97, 98 Cost.), per passare alla disamina delle vigenti leggi e della giurisprudenza più significativa e attuale, approdando all’individuazione di altre attività che, invece, sono soggette ad autorizzazione oppure esercitabili liberamente.Destinato a una vasta platea di operatori, come segretari comunali/provinciali, dirigenti dello Stato e di Enti pubblici, personale scolastico docente e ATA di ogni ordine e grado, avvocati e procuratori esercenti la professione, professori e ricercatori universitari, dirigenti medici, il volume è corredato di specifica modulistica che ogni operatore potrà adattare alle proprie peculiarità tecnico-organizzative, nonché di una appendice normativa che permette un’agevole consultazione delle disposizioni di più frequente applicazione. Giuseppe FiorilloSegretario Comunale. Laureato in Economia e Commercio. Presidente di nucleo di valutazione, di delegazione trattante e di commissioni di concorso. Autore di testi e pubblicazioni in materia di risorse umane e contabilità armonizzata potenziata degli Enti locali.Clemente LombardiGià Segretario Generale di vari comuni. Laureato in Giurisprudenza e abilitato alla professione forense, specializzato in diritto amministrativo e in diritto sanitario. Autore di testi e pubblicazioni in materia di risorse umane e prevenzione della corruzione.Pasquale Monea Segretario Generale del Comune di Firenze. Abilitato alla professione di Avvocato. Dirigente Generale delle Regioni Calabria e Basilicata. Dirigente della Presidenza della Giunta Regionale della Campania. Arbitro del lavoro pubblico (progetto Formez/ARAN). Esperto di diritto del lavoro pubblico e formatore.
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