In sintesi, la Corte di Cassazione (sez. lavoro, 24 gennaio 2017 n. 1752) ha ritenuto il comportamento del dipendente contrario all’obbligo di fedeltà sancito dall’art. 2105 c.c., da coordinarsi con i principi generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., stante il contenuto della memoria, diretta a gettare discredito sull’Amministrazione stessa.
La pronuncia si trova ad affrontare un problema delicato.
Un simile contegno del dipendente, infatti, per altro verso può essere letto come adempimento di quella doverosa collaborazione del pubblico dipendente all’emersione di fatti illeciti o comunque illegittimi nell’interesse collettivo posti in essere dalla pubblica amministrazione
L’art. 54 bis del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, introdotto dalla legge anticorruzione 6 novembre 2012 n. 190, da ultimo modificato dal d.l. 24 giugno 2014 n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014 n. 114, ha espressamente previsto, al primo comma, che “fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’art. 2043 del codice civile”, il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, o all’Autorità nazionale anticorruzione condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.
E’ questo il whistleblowing.
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